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La Catena di Sogni

Ultimo Aggiornamento: 27/11/2010 13:23
03/02/2010 16:35
 
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Ora che ho riscritto tutto daccapo (beh, non proprio tutto... [SM=x1263955] ), credo di poter postare almeno il primo capitolo! [SM=x1263927] [SM=x1263923]
Ah, ancora una cosa riguardo a ciò che state per leggere: CHIUNQUE osasse dire che assomiglia a ERAGON, subirà la mia ira [SM=x1263951] e quella di Noxir unite!!! [SM=x1263950]



Il primo sogno



I sogni: un mondo che ci permette di riflettere nel sonno senza che altre preoccupazioni ci disturbino e dove la razionalità non esiste.
A me succede di sognare quasi ogni notte. Molto spesso sono cose che, durante il giorno, mi hanno messo le ali ai piedi di tanto che erano piacevoli, oppure mi hanno fatto sprofondare sotto terra dall’umiliazione. Altre volte sogno di qualche cosa che desidero ardentemente da tanto tempo, ma non riesco ad ottenere, o ancora i sogni mi rivelano i miei desideri nascosti, come quello della notte del primo settembre.
In tutti i sogni che ho fatto nella mia vita e che riesco a ricordare, il cielo era sempre grigio, plumbeo, poco importava se erano sogni felici o tristi.
Anche in quello della notte del quattro ottobre, il cielo era grigio e nuvoloso.
Mi trovavo su una pianura arida, deserta e piena di crepe per la siccità.
Non ero solo. Ero nella prima fila di un esercito enorme di persone, da ragazzi a adulti. Avevo due spade gemelle nelle mani, entrambe con un fronte ed un retro di colore diverso: la spada nella mano sinistra aveva il fronte della lama di un giallo pallido e il retro di colore bianco, la spada nella mano destra aveva il fronte di colore rosso fuoco ed il retro anch’esso di colore bianco.

Il mio aspetto? Com’ero vestito? Non ha importanza, ciò che conta nei sogni è il sogno stesso e tutto il resto è sottinteso o scontato.
Una grande battaglia stava per scatenarsi. Ero agitato e ruotavo in continuazione la spada nella mano destra.
Finalmente, i nostri avversari arrivarono: i draghi.
Questa guerra durava da troppo tempo. Alcuni umani si erano spinti oltre le Pianure Desolate per curiosità ed erano arrivati nella terra oggi nota come Teretra: dove i draghi regnano su ogni cosa, che sia animata o no. Un paesaggio costellato di montagne, foreste sia verdi che pietrificate e pianure. Questa descrizione veniva da ciò che disse l’unico sopravvissuto dei ventuno che erano andati.
Dopo i draghi hanno cominciato ad arrivare e ad incendiare il nostro regno, cominciando portandosi via il sopravvissuto e il resto della sua famiglia, facendosi guidare dal loro olfatto straordinario.
Una cosa però cambiava ogni volta: i draghi si riducevano di numero ad ogni scontro. Nonostante non riuscissimo mai a ucciderne più di uno o due per battaglia al costo di innumerevoli vittime, ogni volta erano di meno.
Ora erano chiaramente schierati a circa trecento metri da noi. Erano meravigliosi: bianchi, rossi, blu, neri e dorati. Questo non giustificava comunque i loro crimini.
Qualunque cosa li stesse decimando, era un bene per noi.
Era ora di finirla con l’attesa: noi in prima fila cominciammo a correre verso i draghi inizialmente camminando ed aumentando la velocità gradualmente. La stessa cosa fecero i draghi, volando rasoterra.
Piano piano ci separammo e mi ritrovai solo a correre verso i nemici.
L’enorme drago dorato col quale stavo per scontrarmi frontalmente, aprì le fauci per soffiare una vampata di fuoco arancione, l’aggirai e cominciai a colpirlo con entrambe le spade sul suo fianco sinistro. Il drago rispose voltandosi e spazzandomi via con la coda, mi ripresi subito, giusto in tempo per schivare gli artigli affilati che stavano scendendo sulla mia testa.
Saltai e infilzai l’ala destra del mostro con una stoccata distruttiva. Lui mise la zampa libera sulla ferita che si rimarginò immediatamente. Mentre era distratto saltai sul suo dorso per arrivare alla testa, ma lui cominciò a scuotersi e mi dovetti aggrappare ad una squama per non essere scaraventato via. Alla fine cedetti e mi lasciai scivolare ai suoi piedi.
Mi rialzai quattro secondi dopo, sorpreso di non essere stato schiacciato.
Il drago dorato era davanti a me, fermo, seduto sulle zampe posteriori, con lo sguardo fisso su di me, i suoi occhi impenetrabili.
Ruotai la spada nella mano destra e attesi, pronto a scattare in qualsiasi direzione all’occorrenza, ma il drago non si mosse minimamente.
Senza abbassare la guardia, raccolsi il fiato cercando di assumere il tono più severo possibile e dissi: «Beh? Che ti succede? Sei stufo di combattere contro di me? Forse perché credi di essere dalla parte della ragione e quindi ti senti a posto con la coscienza? Ammesso che i draghi ne abbiano una.»
Il drago non si mosse, allora gli puntai la spada destra contro.
«Credimi, se ti dico che non ho nessun interesse personale nell’ucciderti. Avevi solo da non venire a distruggere il nostro regno con i tuoi amici.»
Lui fece un’espressione a metà tra il divertimento e il disgusto.
«Allora?! Non hai proprio niente da dire?!» Urlai.
Cominciava ad infastidirmi. Restammo in quella posizione per un interminabile momento. Poi lui disse: «Almeno c’è ancora qualcuno tra di voi che crede fermamente nei principi di pace che accomuna voi umani, è proprio un peccato che i principi negativi si possano nascondere così facilmente dietro di essi.» Aveva una voce insolitamente potente e profonda.
Sorpreso della risposta, abbassai la spada.
«Cosa vorresti dire con questo?»
«Come ti chiami?» Chiese il drago.
«Nexim.»
«Quanto sai sull’origine di questa guerra?»
«So quanto c’è da sapere. Ventuno umani si sono avventurati oltre queste pianure e si sono ritrovati a Teretra. Voi li avete uccisi tutti, tranne uno, è grazie a lui se so questo. A voi non è piaciuto e avete deciso di venire a sterminarci.»
«Oh, ma che belle cose dite su di noi! Non vorresti sentire qualcosa che si avvicina un po’ più alla realtà di ciò che è successo?»
«Non sono così stupido da farmi ingannare da una storiella inventata all’ultimo minuto per farmi abbassare la guardia in modo che tu possa staccarmi la testa a morsi, ma visto che la vostra fine è vicina, prego: comincia pure.»
«Hai ragione: la nostra fine è vicina. Immagino tu abbia notato come, tra una battaglia e l’altra, il nostro numero si riduce sempre di più. Non è per una scarsità di figli o di cibo. La causa è la malattia portata dalle ventuno persone che vennero qua anni fa. Costoro videro che in loro presenza stavamo male e ne approfittarono. In piena forma possiamo incutere timore nella tua razza, ma da malati siamo indifesi come voi umani mentre dormite. Le nostre ossa hanno poteri curativi se fatte in polvere e non solo le ossa hanno delle proprietà. Non vi avevamo mai recato fastidio, ma voi avete preferito la strada facile per ottenere delle cose che sarebbe stato molto meglio lasciare dov’erano.
I draghi più resistenti alla malattia, come me, si sono assunti il compito di pareggiare le perdite, ma non è bastato. In numero sempre maggiore voi siete venuti e venite ancora a Teretra, così che noi siamo sempre di meno.»
Riflettei per un momento su quanto aveva raccontato, che avrebbe potuto benissimo essere la realtà, eccetto che per una cosa:
«Interessante, ma ti sei dimenticato di dirmi come fanno questi assassini di draghi ad andare in giro giorno e notte portandosi le vostre carcasse appresso e inoltre senza che le guardie ai confini glielo impediscano.»
«Credo sia abbastanza ovvio: le vostre cosiddette guardie sono loro complici, oppure semplicemente fanno parte della setta.»
«Comunque non mi convince. Hai un qualsiasi modo per mostrarmelo?»
«Sì, voltati.»
Mi voltai e vidi l’ultima cosa che avrei voluto vedere in quel momento: esattamente ciò che il drago aveva detto. Un drago era stato appena ucciso e veniva trascinato lontano dalla battaglia. C’era però qualcosa di diverso rispetto a quanto mi era stato detto: un deposito sotterraneo si aprì e la carcassa venne tirata dentro.
«Non ci credo... non è vero... non è possibile...»
«Dura la realtà, vero? Soprattutto dopo così tanti anni di bugie...»
«STÁ ZITTO! C’è un errore e ad ogni errore c’è una spiegazione ed una soluzione!»
Corsi verso di loro attraverso la battaglia e li chiamai.
«Che cosa state facendo con quella carcassa?»
Il silenzio fu la risposta che ottenni.
«Allora?»
L’uomo che mi stava vicino sguainò la spada e cercò di tagliarmi in due, ma io schivai all’indietro.
«Cosa vuol dire questo?!»
Non ebbi alcuna risposta in parole, ma anche gli altri quattro uomini avevano sguainato le spade e si erano lanciati contro di me e questo poteva voler dire una sola cosa: tradimento.
Non potevo schivare all’infinito e spinto dalla rabbia li attaccai e uccisi uno ad uno. Dopo mi diressi verso ognuno dei cadaveri e mi misi a pestarli e a squartarli come per maledirli.
Ora mi accorsi che la battaglia era terminata da parecchio e i pochi compagni che, come me, erano stati presi in giro, si erano messi a fare la stessa cosa che avevo fatto io con gli altri assassini di draghi.
I draghi che ci avevano raccontato la verità non si erano mossi da come li avevamo lasciati e ci guardavano.
Io andai verso il drago dorato, il quale adesso aveva un’espressione compiaciuta.
Gettai le spade ai suoi piedi, lo guardai dritto negli occhi e dissi: «Bene, grazie. Ora cosa farete di noi?»
«Umm... i sogni durano troppo poco. Cosa diresti, Jacopo, se venissi con te?»
Istintivamente, allungai la mano destra verso di lui e il drago fece altrettanto con un artiglio, finché non ci toccammo.

«Jacopo! È ora di alzarsi!» La dolce voce di mia mamma mi svegliò. Erano le sette meno un quarto di lunedì mattina. Ora di andare a scuola.
Notai che il mio corpo era tutto rigido, cosa che mi succedeva sempre quando avevo dei sogni particolarmente emozionanti.
Decisi che sarei rimasto ancora un po’ nel letto.
Era ancora buio pesto, poiché erano le sette di mattina, la pochissima luce che c’era veniva dalle fessure tra le persiane delle grandi finestre sulla parete destra.
Quando avevamo affittato questa casa, i miei genitori avevano lasciato a me la camera più grande.
Le prime cose che si vedevano dal letto erano i tanti fili intricati che pendevano dalla scrivania posta dall’altro lato della camera, attaccata alla parete con le finestre. Sopra la scrivania si vedevano le varie parti del computer.
All’immediata sinistra del letto c’era il comodino con sopra la lampada da notte, la sveglia, usata solo ogni tanto per guardare l’ora, e un contenitore di fazzoletti (preferivo quello ai pacchetti, perché di notte, quando si ha il raffreddore, è molto più pratico). Più in là c’era il termosifone e, tra il termosifone e la porta bianca, c’era la sedia dove posavo i vestiti quando andavo a dormire.
A destra del letto, attaccato alla parete con le finestre, c’era uno scaffale bianco con cinque ripiani, partendo dal basso verso l’alto: nel primo, nel secondo e nel terzo c’erano i libri ed i quaderni di scuola, nel quarto e nel quinto c’erano i miei libri portati dall’Italia. Sopra allo scaffale c’erano il mio salvadanaio e una pianta di bamboo immersa in un vaso pieno d’acqua e gelatina azzurra.
Dall’altra parte della stanza, oltre alla scrivania, attaccato alla parete della porta, c’era l’armadio bianco a tre ante quanto il soffitto che conteneva i miei vestiti, le mie giacche, i miei pigiami e varie coperte.
Proprio una bella stanza da letto. Di così grandi non ne avremmo mai trovate se fossimo andati ad abitare in un appartamentino nel centro di Parigi, ma in un anno da quando avevamo traslocato l’avevo vista così tante volte che ormai non la vedevo più.
Andai in bagno, mi piazzai davanti allo specchio, scostai i lunghi capelli castani dagli occhi e mi fissai.
Scrutare il mio riflesso era un metodo molto efficace per ricordare i sogni concepiti durante la notte, ma poteva richiedere alcuni minuti, i quali non sempre erano disponibili.
Mamma mi chiamò e disse che dovevo sbrigarmi se non volevo perdere il treno.
«Sì, un momento!» Le gridai di rimando, stando attento a non staccare gli occhi dallo specchio.
Sapevo di aver sognato qualcosa di spettacolare ed ero ansioso di sapere di cosa si trattava.
Dovevo semplicemente annoiarmi fissando a lungo un punto qualsiasi della mia faccia, dopodiché dovevo lasciare i miei pensieri vagare. Ad un certo punto sarebbe successo qualcosa di strano al mio riflesso, quello sarebbe stato il segnale che ero pronto. Avevo solo l’imbarazzo della scelta visto quanti brufoli mi punteggiavano la fronte, il naso e la zona attorno a quest’ultimo. Per questa volta scelsi il neo che spiccava sulla mia guancia sinistra.
I miei pensieri vagarono sul fatto che, malgrado fossi pieno di nei su tutto il corpo, sulla faccia ne avessi soltanto uno. Avevo preso la pelle da mia mamma, e lei a sua volta da mio nonno, infatti entrambi avevano nei dappertutto, anche sulla faccia. Forse il motivo di quel neo solitario era mio papà, ma era parecchio tempo che non lo vedevo, dunque non potevo saperlo. Una cosa che però sapevo su Franco, era che lui aveva una pelle molto delicata ed era facile che si prendesse delle forti scottature quando andavamo al mare. Ora quel problema non c’era più: a Parigi è già un miracolo se non piove dal mattino alla sera.
La mia mente si svuotò lentamente fino a quando il mondo attorno a me smise di esistere.
A un certo punto il mio riflesso si sdoppiò: era il momento giusto.
Pensai immediatamente al sogno e funzionò: i frammenti dimenticati nelle profondità del mio subconscio si risvegliarono e si ricomposero per poi andare a colmare il vuoto di memoria creatosi quella notte. Mi sembrò di ricevere un getto d’acqua fredda sulla testa. Sentii persino un brivido freddo partire dallo stomaco, salire su per la colonna vertebrale, arrivare alla nuca ed espandersi fino a raggiungere gli occhi.
In una frazione di secondo rividi il sogno dall’inizio alla fine, riuscendo persino a cogliere alcuni frammenti di frasi.
Feci un passo indietro e rimasi per un momento con bocca ed occhi spalancati.
Fu l’ennesima chiamata da parte di mia mamma a svegliarmi.
La mia risposta fu identica alla precedente.
Dopodiché ripresi a fissare il mio riflesso (concentrandomi sui brufoli rossi e viola che mi punteggiavano il naso) e cercai di unire ed esaminare quei frammenti che vorticavano nella mia mente.
Fu così che mi accorsi che, purtroppo, non ricordavo l’aspetto del drago che mi aveva parlato nel sogno, eccetto il fatto che era dorato.
La prima cosa che mi impressionò fu il nome che era uscito dalle mie stesse labbra.
«Nexim... che bel nome mi sono dato!» Dissi, ma a chi? Semplicemente a nessuno, parlare da solo per me era naturalissimo, siccome a casa non c’era nessuno con cui parlare; talmente naturale che raramente me ne accorgevo, ma quella mattina me ne resi conto.
Quel pensiero mi dava sempre l’impressione di essere solo, come se un velo grigio fosse sceso su di me, nascondendomi al mondo.
Ecco che assieme a quel velo riaffioravano i ricordi degli anni precedenti: grigi, come il cielo dei miei sogni.
Avevo sempre avuto una grandissima passione per tutto ciò che era fantastico, non importava se erano libri, giochi o canzoni.
Al contrario di molte delle persone che avevo conosciuto, non avevo mai perso la capacità di sognare e immaginare. Forse era questo che mi aveva reso così diverso dagli altri in ogni ambiente.
Non ero mai stato simile agli altri, ma le differenze cominciarono a vedersi quando compii otto anni, età nella quale i bambini cominciano a scoprire il mondo reale e a lasciar perdere il mondo dei sogni, il mondo che mi è sempre stato tanto caro.
Siccome avevo sempre “la testa tra le nuvole”, non sapevo giocare bene a quei giochi tanto popolari come nascondino, ce l’hai, fulmine e, più di tutti, il calcio. Per questo venivo cacciato dagli altri ragazzi e passavo gli intervalli camminando nell’infinito vuoto della solitudine e ad arrampicarmi sulle fronde dei grandi noccioli che crescevano dietro la scuola.
Questo era quanto succedeva quando abitavo ancora in Italia, poi mia mamma ricevette un’offerta di lavoro qui in Francia ed ho visto l’occasione di liberarmi di quel mondo di solitudine, dove l’unica persona che mi avesse mai capito la mia fantasia era stato il professore d’arte e del laboratorio di ceramica che frequentavo il martedì pomeriggio: Gianfranco.
Qui le cose sono molto cambiate, anche se ancora adesso non va tutto bene, ma è meglio. L’andata della giornata a scuola dal punto di vista emotivo è variabile come il vento di Parigi: assolutamente imprevedibile, nonostante soffi continuamente.
In questa scuola non esistono giorni nei quali non succede “niente”: qualcosa di particolare accade sempre. Ora la scuola è il luogo d’incontro e divertimento, la casa è la prigione. A casa sono lontano da qualsiasi cosa. Mio papà è spesso in Italia e mia mamma sta tutto il giorno a lavorare e torna solo la sera, quand’è ora di cenare.
Crogiolarmi nel mondo dei sogni attraverso la lettura e la creazione di storie era e sarà sempre l’unico passatempo significativo per me, l’unica porta che mi permette di scappare da questo mondo freddo e insensibile.
Per tutta la vita avevo sperato che mi capitasse qualcosa di straordinario e fantastico come succede nei libri, per questo inventavo, giorno dopo giorno, nuovi nomi per i miei compagni di avventure, sembianze sbalorditive per le creature che avremmo dovuto affrontare, frasi crudeli per i tiranni che avrebbero dovuto opprimere il nostro popolo e prove impossibili da superare per raggiungere un qualcosa che ci avrebbe permesso di sconfiggere i malvagi.
«Jacopo! Scendi subito! Altrimenti non avrai il tempo di fare la colazione!» Urlò ancora mia mamma.
La mia risposta? La solita frase: «Sì, adesso arrivo! Un momento!»
Dopodiché aprii il rubinetto dell’acqua fredda e mi lavai mani e faccia con la saponetta bianca a destra del rubinetto.
Mentre mi asciugavo il viso con l’asciugamano giallo e bianco appeso a sinistra del lavandino ripresi a esaminare i ricordi del sogno. Una cosa che trovavo molto strana era che il mio nome non era mai stato pronunciato in nessuno dei sogni che avevo fatto in quattordici anni.
«Come faceva a conoscere il mio nome? Certo la mia mente riesce sempre a stupirmi... umm... chissà cosa sarebbe successo se mamma non mi avesse svegliato...»
Era proprio quando mi facevo certe domande che la mia fantasia scattava e mi regalava mille immagini disordinate che poi si disponevano frettolosamente in fila e formavano una nuova storia. Mi misi ad immaginare il seguito del sogno: il drago che mi portava in un altro mondo, dove sarei stato finalmente qualcuno d’importante, un luogo dove avrei potuto cavalcare quel drago e...
«Jacopo! Scendi che è tardi!»
Il ritorno alla realtà, così brusco e inaspettato, fu orribile.
Rieccomi lì, nel bagno dalle piastrelle bianche, ore sette ed un quarto circa, cinque ottobre duemilanove, Rue de l’Argonne, numero diciassette, Livry Gargan, Île de France.
Una sola frase uscì dalla mia bocca dopo che mi fui ripreso: «Aveva ragione... i sogni sono sempre troppo corti. Magari succedesse qui...» E scesi a fare colazione, cercando di riprendere il filo delle immagini, ma era tutto inutile.
Un’altra storia rovinata... Pensai.
Interiormente, piangevo.
[Modificato da Nexim_cuore_di_drago 10/02/2010 16:28]
05/02/2010 14:17
 
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Nexim, penso che ne sarai felice, ma, secondo me, almeno in questo primo capitolo non c'è proprio niente che ricordi Eragon! [SM=x1263927]

In realtà mi ha fatto tornare indietro nel tempo al periodo dei miei anni di scuola, devi sapere che all'epoca ero una ragazzina molto introversa e solitaria, e anch'io come il protagonista della tua storia trovavo sollievo e conforto quasi esclusivamente dall'esercitare la mia immaginazione e sognare tanto: e infatti sognavo in continuazione che Gandalf potesse un giorno venire a bussare alla mia porta, come aveva fatto con Bilbo, e a coinvolgermi in un'avventura che mi avrebbe fatto dimenticare la mia solitudine e trovare tantissimi veri amici... [SM=x1263997]



"All along, I was searching for my Lenore,
In the words of Mr. Edgar Allan Poe.
Now I'm sober and nevermore
Will the raven come to bother me at home?"

Kremlin dusk - Utada Hikaru

"Tu credi che questo sia stato difficile? La verità ti spezzerà il cuore."
(Lady Sophie di Nessun Dove - "La Chiave del Caos")







05/02/2010 16:10
 
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Grazie, grazie un milione! Per me conta tantissimo il fatto che tu, a differenza di tutti gli altri [SM=x1263946] , l'abbia trovato diverso da Eragon!
Riguardo al protagonista del mio libro, vuoi conoscere un segreto su di lui? Se sì, allora continua a leggere:

il protagonista del mio libro sono io stesso, esattamente come sono nella realtà! [SM=x1263955] (eccetto che per una cosa: nella realtà porto gli occhiali [SM=x1263948], anche sono molto più bello senza [SM=x1263939] ) E non è l'unico, tutti personaggi de La Catena di Sogni sono assolutamente reali.

Ok, ora mi sa che posterò il 2° capitolo, il cui titolo, guardacaso, corrisponde a quello del libro! [SM=x1263955] [SM=x1263955] [SM=x1263955]



La catena di sogni



Tra i miei compagni di classe ero quello che abitava più lontano dalla scuola, quindi dovevo prendere la RER B alla stazione di Sevran-Livry in direzione Robinson o Saint Remy les Chevreuses, scendere a Saint Michel Nôtre Dame, prendere la linea C in direzione Versailles e scendere a Pont de l’Alma. Cinque minuti a piedi ed ero arrivato a scuola. Nel complesso ci mettevo circa un’ora.
Il viaggio in treno non era poi così noioso, poiché avevo sempre con me l’iPod e, all’occorrenza, avevo tutto il tempo di ripassare per le verifiche e le interrogazioni.
Il genere che mi piaceva di più ascoltare era il metal, ma di tanto in tanto ascoltavo anche qualche musica melodica e tranquilla. Con melodica e tranquilla non intendo la classica, quella non fa proprio per me: troppo lunga, ripetitiva e noiosa, però avevo imparato a rispettarla, grazie a mio papà, il quale, le poche volte che era a casa, non ascoltava nient’altro.
Appena fui salito sul treno, cercai subito un posto a sedere, poiché stare in piedi, dopo che si è aspettato per dieci minuti con un macigno sulla schiena, non è proprio il massimo, soprattutto quando c’è tanta gente e si è ancora mezzi addormentati.
Una volta che mi fui seduto, mi misi la cartella sulle ginocchia e tirai fuori l’iPod dalla tasca destra dei jeans. Tenni premuto per tre secondi il tasto e, dopo essermi accertato che si fosse acceso, lo abbassai e mi guardai intorno, in cerca di sguardi desiderosi del mio oggetto. Da quando mi ero trasferito a Parigi ed avevo cominciato ad andare da solo sulla RER ogni giorno, avevo visto tanti furti e tante risse tra ragazzi, cosicché, malgrado che a me non fosse mai capitato niente di simile, avevo sviluppato un vero e proprio terrore degli sguardi altrui e di qualsiasi opinione che potesse derivare da tale sguardo, anche se si trattava di una persona qualunque che molto probabilmente non avrei mai più rivisto in vita mia.
Era un’indagine, e dunque mi guardavo intorno attentamente, ma senza prestare attenzione alle persone intorno a me, solo ai loro sguardi.
Quando fui certo che nessuno mi stesse guardando, alzai l’iPod, toccai l’icona dei video e cominciai a scorrere la lunga pagina in cerca del video con la canzone “Operation Ground and Pound” di Dragon Force. Una delle mie preferite e della quale avevo imparato a memoria il testo, in modo da poterla cantare a squarciagola quando ero a casa, e nella mente quando mi trovavo da qualche altra parte.
Infilai l’iPod di nuovo in tasca, mi rilassai e mi concessi di guardare chi stava seduto nei tre posti a sinistra e davanti a me: tre donne, tutte non molto giovani, le due davanti a me stavano leggendo e quella alla mia sinistra guardava fuori dal finestrino.
Non ebbi bisogno di guardarle ulteriormente, il semplice fatto che attorno a me ci fossero solo donne mi rasserenò. Io avevo sempre nutrito un profondo rispetto per le donne, pensavo addirittura che le donne fossero meglio degli uomini. Il perché? Non ero certo di saperlo nemmeno io, forse perché tutti i grandi errori della storia gli hanno fatti gli uomini e le poche volte che una donna è arrivata al potere, essa ha lasciato quasi sempre un’impronta molto positiva.
Quando il treno si fermò a Gare du Nord, la donna seduta alla mia sinistra si alzò e uscì dal treno. Io mi spostai in quello che era stato il suo posto e la guardai mentre venne inghiottita dalla scala che portava al piano di sopra, nel cuore della stazione; dove, molto probabilmente, avrebbe preso la metro per andare chissà dove.
Quando il treno ripartì, io appoggiai il gomito sinistro sul bordo del finestrino, appoggiai la testa sulla mano aperta e lasciai lo sguardo vagare nell’oscurità del tunnel, mentre i miei piedi battevano silenziosamente il velocissimo ritmo della canzone che ascoltavo.
Avevo scoperto i Dragon Force verso la fine dell’estate e da allora avevo cominciato ad ascoltare le loro canzoni sempre più spesso. Tuttavia non dimenticherò mai My Chemical Romance, il mio ex gruppo preferito, le cui canzoni mi hanno accompagnato per tutto l’anno scorso.
La mia mente fu immediatamente percorsa da una gran voglia di ascoltare “Famous Last Words”, la mia indiscussa preferita tra tutte le canzoni che conoscevo dei My Chemical Romance.
Appena ebbi cambiato, le parole della canzone cominciarono a comporsi nella mia mente e, insieme con esse, i ricordi del mio primo anno a Parigi: indubbiamente l’anno più travagliato della mia vita. Avrebbe anche potuto essere l’anno più felice della mia vita, ma qualcosa l’aveva reso un anno pieno di lacrime.
Non posso dire che i miei compagni avessero torto quando dicevano che era colpa mia se i soliti tre scemi che sono presenti in ogni classe esistente mi avevano preso in giro per tutto l’anno, perchè l’errore era stato mio: con coloro che si dimostravano gentili verso di me, anche una sola volta, mi veniva sempre spontaneo cercare di stringere amicizia e raccontare dile mie passioni. Il problema è che sono pochissime le persone in grado di comprendere ed apprezzare i ragazzi come me: i pochi che, raggiunta l’età della fine dei sogni (che secondo me è intorno agli undici anni), sono ancora in grado di aprire quella porta invisibile ed entrare in quel mondo fatto d’epiche battaglie, draghi ruggenti, cavalieri valorosi, angeli scintillanti e ogni altra cosa per la quale non c’è più spazio in questo mondo.
Bastò una confessione di troppo a una persona “normale” ed ecco che fui ufficialmente etichettato come: pazzo, sfigato, frocio (perché portavo i capelli lunghi), rimbambito con la testa tra le nuvole, buffone...
Ma la cosa peggiore è che tutti mi detestano e cercano sempre di allontanarsi da me, come se io avessi una strana malattia contagiosa e mortale. Persino le persone alle quali non avevo mai fatto né detto niente, si scostano leggermente quando passo o mi siedo vicino a loro, con un verso soffocato di disgusto, solo perché nella scuola gira la voce che io non sono “a posto”. Se poi, come nel mio caso, nel proprio carattere è inciso un profondo bisogno d’amici, allora la cosa diventa davvero tragica.
Mia mamma, però, si era preoccupata, mi aveva ascoltato ed era andata più volte a parlare dalla preside. Quest’ultima le diceva sempre che avrebbe preso provvedimenti, peccato che poi non facesse e non dicesse mai niente.
L’unica cosa che mi aveva veramente salvato dalla depressione, era stata la scoperta che in ogni classe esistente, oltre ai soliti tre scemi, c’è sempre qualcuno che ti può capire.
Andrea e Aristeo sono, tra tutte le persone che ho conosciuto in Francia, i miei migliori amici.
E chi altri, se non loro che sono i due secchioni della classe, poteva diventare mio amico?
La loro fantasia, come la mia, era sopravvissuta al passaggio degli undici anni.
Andrea aveva gli occhi e i capelli castani, ma questi ultimi, al contrario di me, li teneva corti. Una sua particolarità era il suo sguardo vispo che mi ricordava molto quello di un bambino.
Lui, purtroppo, aveva subito (e subisce ancora, anche se di meno) il mio stesso trattamento quando era arrivato in questa scuola. Lui stesso mi ha raccontato di come una volta i tre che c’erano fino all’anno scorso (due di loro sono stati bocciati all'esame e l'ultimo non mi dà quasi più fastidio) gli toglievano e nascondevano spesso le scarpe e i prof mettevano la nota a lui perché “si era fatto togliere le scarpe dai suoi compagni”.
Aristeo era un ragazzo magrissimo, con gli occhi castano chiari, i capelli dello stesso colore lunghissimi raccolti in una coda che gli arrivava a metà schiena, la fronte ampia e portava gli occhiali. Lui era sempre stato un tipo freddo e riservato, l’unica persona colla quale parlava volentieri era Andrea. Dove abitasse era un mistero, non l’aveva mai detto a nessuno, e nessuno sapeva come riuscisse a sopravvivere a tutti i corsi che faceva oltre alla scuola, ne seguiva talmente tanti che sembrava non avesse mai nemmeno un’ora libera. Per esempio: se qualcuno gli chiedeva quand’era libero per fare un giro a Champs de Mars, lui gli rispondeva elencando gli innumerevoli corsi che frequentava oltre alla scuola italiana, e, oltre a questi, si aggiungevano una scuola pomeridiana francese e il conservatorio di oboe.
Da quando sono qui, ho potuto appendere i miei sogni alla fiducia che loro mi hanno dato, cosicché il mio mondo ha sempre resistito agli eventi quotidiani che lo torturano.
Immerso com’ero nei miei ricordi, mi spaventai enormemente quando sentii la sirena del treno che annunciava la chiusura delle porte.
Dopo essermi un po’ calmato, guardai fuori dal finestrino e vidi il cartello blu con su scritto “S. MICHEL NOTRE DAME”.
Mi mancò il respiro.
Scattai in piedi e corsi fuori dal treno, strascicando per terra la cartella.
Le porte si chiusero giusto un secondo dopo che io fui uscito.
Rimasi per un momento lì col fiatone a guardare il treno partire, contento di aver evitato il ritardo, dopodiché mi misi la cartella in spalle e m’incamminai verso il binario della RER C.
Salii tutte le scale (anche le mobili) facendo due gradini per passo. Era diventata un’abitudine ormai da un paio d’anni, anche se ogni volta mi sembrava che lo facessi da una vita.
Il resto del viaggio fu quasi automatico; io ascoltavo la musica e le mie gambe si muovevano da sole, fino a quando non arrivai in classe.
Era una grande classe rettangolare, con le pareti bianche, il soffitto bucato in alcuni punti, i banchi tutti uguali disposti a coppie secondo le amicizie e le due porte piene di buchi causati dai tarli.
I miei compagni erano tutti là, a spettegolare sul weekend.
Io cercai Andrea ed Aristeo per la classe, ma non li trovai.
«Oh! I tuoi “amici” non sono venuti, non credi che ormai siano stufi di te che li segui ovunque?» Disse una voce alla mie spalle che conoscevo bene e non mi stava per niente simpatica: quella di Dario.
Mi voltai e gli risposi come meritava: «Ah ah, molto divertente. Almeno io ho dei veri amici, come tu non li avrai mai.»
Dario era un ragazzo non molto alto, né magro né robusto, con i capelli neri tagliati corti, la faccia piena di brufoli (più di me) e portava degli occhiali con le lenti rettangolari. Indossava una maglia nera e teneva entrambe le mani nelle tasche dei jeans marroni.
«Ah già! I “veri amici” sono solo quelli che volano a dorso di drago insieme a te ne “La Storia Infinita”!» Esclamò divertito.
«Ma cosa ne vuoi sapere tu, non hai nemmeno letto “La Storia Infinita”.» Dissi esasperato, dopodiché lo scostai gentilmente ed andai a sedermi al mio banco.
Prime due ore: matematica, entrambe trascorse stravaccato sulla sedia, perso nell’abisso della noia più totale, senza riuscire ad ascoltare le veloci parole della prof.
Terza ora: storia. Molto meno noiosa, me non abbastanza interessante da coinvolgermi nell’argomento attuale per tutta l’ora. Per un po’ stavo attento ed intervenivo, ma ad un certo punto abbassavo lo sguardo senza nemmeno rendermene conto ed ecco che ricominciavo a vagare con lo sguardo fisso nel vuoto.
Per quest’ora, decisi che avrei sfogliato il libro, alla ricerca di una pagina sulle crociate ed i cavalieri, tutti argomenti distanti anni luce da ciò che stavamo studiando in quel periodo.
Potevo permettermi di non ascoltare perché tanto recuperavo a casa, studiando sul libro. Avevo ereditato la memoria a lungo termine da mio papà, dunque mi bastava una lettura, a volte due, per ricordarmi quell’argomento alla perfezione.
Storia mi era sempre interessata da quando ero piccolo, ma da qualche anno questo mio interesse era diminuito, non per pigrizia, ma per puro disinteressamento. Da quando tutti, persino i miei genitori, mi dicevano che ormai ero grande e che dovevo comportarmi di conseguenza, mi veniva spesso detto, in sintesi, che “dovevo scendere dalle nuvole”, ma in una maniera così formale ed indiretta da farlo quasi sembrare un consiglio per il mio bene. Fortunatamente, io avevo sempre riconosciuto quelle parole così smielate per quello che erano: un metodo di seduzione così subdolo che nemmeno si nota, architettato per essere utilizzato nel passaggio critico che c’è tra fanciullezza e pubertà, con lo scopo di far tacere per sempre le fantasia di un bambino.
Da allora, ho cominciato a osservare ed evitare tutte quelle cose che fanno gli adulti normalmente, per il terrore di diventare come loro. Così ero riuscito a scoprire la legge che regola ogni singolo adulto “normale” esistente: domani è per coloro che lo preparano oggi. Quando ne parlai a mia mamma, lei mi diede ragione e mi spiegò anche i molti perché di questo loro modo di ragionare, tutte cose che sembrarono perfettamente logiche alla mia mente, facendomi persino dubitare della mia teoria su questa legge e che io avessi torto marcio, ma, dopo averci ragionato su un po’ senza essere condizionato da altre persone, capii l’orrore nascosto in questa legge: come può una persona vivere la vita che ha preparato per un giorno, se quel giorno deve lavorare per rendere più bello un giorno del quale non potrà mai compiacersi? In questo modo, gli anni passeranno come se fossero secondi, fino a quando la morte non porrà la parola fine a questi preparativi infiniti, e quella persona si accorgerà che la sua vita è passata in un batter d’occhio, senza nemmeno esser stata vissuta decentemente.
Mi venivano le lacrime agli occhi ogni volta che pensavo a quante persone avevano subito questa sorte, senza nemmeno essersene rese conto, se non quando ormai era troppo tardi.
Così, avevo giurato a me stesso che non avrei mai e poi mai vissuto per il futuro, né per il passato, vivendo esclusivamente nel presente.
Le mie profonde riflessioni furono interrotte da un rumore alla mia destra, quello della porta che si apre. Voltai lo sguardo verso quel rumore e vidi Andrea ed Aristeo sulla soglia, vestiti con giacche pesanti, le cartelle sulla schiena, le facce rosse (soprattutto i nasi) ed entrambi tenevano un foglietto rettangolare giallo nella mano destra.
In quel momento, la campanella di fine ora suonò: intervallo.
Tutta la classe si alzò simultaneamente, gli amici cercarono gli amici e la chiacchierata di sottofondo riprese. Il prof firmò i due foglietti gialli che avevano portato i miei amici, dopodiché prese le sue cose ed uscì.
Io cercai di tenere a freno la voglia tremenda che avevo di saltare subito addosso ai miei amici e di raccontargli del sogno, ma non ci riuscii e corsi subito da loro.
«Yo voi! Che vi è successo? Sapete che senza di voi non ci si diverte qua, allora perché ci avete messo tanto?»
Loro due risero e Aristeo disse: «Ogni tanto sentiamo il bisogno di ricordarvi quanto sono vuote le ore di mate senza di noi.»
Tutti e tre scoppiammo a ridere.
Dopodiché, fu Andrea a parlare, cercando di trattenere le risate: «È successo un pasticcio sulla metro.»
«A tutti e due?!» Chiesi io.
«Già.» Proseguì Andrea. «Ma adesso ho cose più importanti di cui parlarvi...» Si guardò intorno per vedere se ci fossero dei potenziali ascoltatori indesiderati, e in effetti la zona attorno alla cattedra, in quel momento, era piuttosto affollata, c’era anche Dario, e ci stava fissando.
Andrea mise le mani sulla mia spalla e quella di Aristeo e ci sussurrò: «Meglio andare in fondo alla classe, qui c’è troppa gente per i miei gusti.»
Io gettai uno sguardo alla cattedra e dissi: «Concordo, anch’io ho qualcosa di molto interessante da dirvi.»
«Pure io.» Aggiunse Aristeo.
Tutti e tre ci dirigemmo verso il fondo della classe, zona che normalmente era molto affollata, ma che questa volta era deserta.
Andrea gettò ancora uno sguardo verso l’altra parte della classe, per sicurezza, dopodiché sorrise e disse, entusiasta: «’Sta notte ho...»
In quel momento, successe una cosa stranissima, una cosa che nessuno di noi tre si sarebbe mai aspettato, una cosa che nessuno di noi tre sarebbe mai riuscito a spiegare.
Mi sembrò come se un ago gelido si fosse introdotto senza tanti complimenti nella mia testa e avesse rotto qualcosa, qualcosa di minuscolo e, allo stesso tempo, di veramente importante.
La mia schiena si raddrizzò bruscamente, la mia testa scattò violentemente indietro, la mia bocca si aprì e i miei occhi si spalancarono.
Ebbi giusto il tempo di vedere che Andrea e Aristeo avevano avuto la mia stessa reazione, un momento dopo la vista mi si oscurò completamente e caddi in ginocchio.
Appoggiai la mano sinistra per terra e mi presi la faccia con la destra.
Dopo un orribile momento, riacquistai la vista. Cercai di alzare lo sguardo, ma la mia testa non si alzò. Cercai di parlare, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono.
In compenso, qualcosa mi costrinse a guardare dall’altra parte della classe.
Vidi Dario, il quale rideva in una maniera oscena, prendere la mia cartella, dirigersi goffamente verso il cestino e... tirarci dentro la cartella con un grido di trionfo.
Bando alle riflessioni.
Mi feci strada a spintoni tra i malcapitati compagni che si trovavano sul mio percorso e rovesciai i banchi che mi intralciavano il passaggio. Non prestai ascolto alle imprecazioni che mi venivano lanciate da dietro, tutto ciò che mi interessava in quel momento era spaccare la faccia a Dario.
Quando lui mi vide, scappò codardamente fuori della classe, ridendo ancora più forte, soddisfatto di aver ottenuto da me la reazione desiderata.
Frenai strisciando con il piede sinistro in modo da non perdere tempo e velocità in quella curva a gomito ed inseguii Dario sul pianerottolo. Fuori della classe c’era più gente, ma più o meno tutti si scostarono al nostro passaggio, gridando varie parolacce e bestemmie a caso.
Noi due girammo un po’ lì, poi attorno alla colonna. Dopodichè ritornammo in classe.
Dario non virò verso il fondo della classe, ma continuò diritto, intrappolandosi tra la cattedra e la prima fila di banchi.
Che occasione d’oro per una deliziosa vendetta.
Grazie alle mie gambe lunghe, non mi fu per niente difficile raggiungerlo, afferrarlo per il colletto e per il braccio e spingerlo più forte che potei.
Eppure avrei dovuto prevedere che la mia coscienza avrebbe interferito proprio nel momento precedente allo schianto, facendomi dimezzare la velocità, invece rimasi ancora una volta sbalordito da quel calo improvviso di tensione e quella sensazione di fresco alla testa.
Anche se molto più dolcemente di come l’avrei voluto, lo schianto avvenne e Dario si accasciò per terra.
Avrei potuto picchiarlo a volontà, ma la mia coscienza me lo impedì.
Dunque andai verso il cestino e mi ripresi la cartella. I miei compagni si erano riuniti attorno al cestino e se la ridevano e mi gridavano, insieme con una buona dose d’insulti, frasi come: «Oh, calmati un po’!»
«Ma tu non sei mica a posto!»
«Ma ’sto qua è pazzo!»
«Dario ti potrebbe denunciare per questo!»
Molte di quelle frasi mi entrarono da un orecchio e mi uscirono dall’altro, ma quest’ultima mi divertì alquanto.
Dovrei denunciarlo io per tutte le volte che la mia cartella è finita nel cestino. Pensai.
Avevo appena rimesso la mia cartella al suo posto, tra il mio banco e quello di Aristeo, che qualcosa mi colpì sul sedere facendomi un male terribile. Dopo aver ricevuto un pugno sulla schiena, mi voltai e vidi Dario con la faccia paonazza dalla rabbia.
Siccome avevo girato la testa, il pugno seguente, che avrebbe dovuto colpirmi sulla nuca, mi colpì sull’orecchio destro. Chiusi gli occhi e digrignai i denti. Appena mi fui ripreso, Dario mi spinse e caddi sul banco dietro al mio, rovesciandolo. Le penne, i quaderni e gli astucci che vi erano sopra tintinnarono allegramente sul pavimento.
«Ti sta bene.» Disse una voce soddisfatta alle mie spalle.
Le ultime tre ore di scuola non ebbero molta importanza per me, poiché le trascorsi completamente immerso nelle mie riflessioni su quel litigio, in attesa della campanella che avrebbe segnato la mia liberazione. Allora avrei potuto confidarmi con Andrea e togliermi quel peso di dosso.
«Perché Dario è stato così aggressivo nei tuoi confronti?» Mi chiese lui, mentre scendevamo la lunga scala, diretti all’uscita.
La scuola era deserta, rimanevamo soltanto noi due.
Io sospirai e cominciai a raccontare, attorcigliando le dita come sempre: «Allora, la storia è andata così: nell’intervallo lui mi ha buttato di nuovo la cartella nel cestino, allora io mi sono incavolato e gli sono corso dietro. L’ho inseguito per tutta la classe, abbiamo fatto un bel giro nel pianerottolo e sulla soglia della classe sono riuscito ad afferrarlo per il colletto e l’ho spinto fino a farlo sbattere contro il muro...»
«Beh, questo non lo dovevi fare...» M’interruppe lui.
«Fammi finire! Dunque, dopo averlo sbattuto contro il muro, sono andato a tirare fuori la cartella dal cestino, ma lui si è rialzato ed ha cominciato a menarmi: un calcio nel sedere, un pugno sulla schiena e un pugno sull’orecchio destro (per un po’ non sentivo niente da quella parte), dopodiché mi ha spinto, cosicché sono caduto sul banco di Lavinia, il quale si è rovesciato e, come se non bastasse, lei ha dato la colpa a me!»
Andrea distolse lo sguardo, pensieroso. «Beh... tu non avresti dovuto sbatterlo contro il muro, in questo modo non sarebbe successo niente.»
Io lo guardai allibito. Tra le poche cose che detestavo, una di queste era quando cercavo conforto nei miei amici dopo una vicenda spiacevole e loro non mi davano ragione.
«Ma ti ascolti quando parli?!» Sbottai io. «Secondo te avrei dovuto fare finta di niente quando mi ha buttato la cartella nel cestino?!»
Andrea inclinò leggermente la testa verso destra. «Beh, lo sai che lui è così, potevi ignorarlo come fai sempre.»
«Sì, certo, normalmente riesco a ignorarlo, ma dopo un po’ di volte di seguito che devo ripescare la mia cartella dal cestino e i prof non dicono niente, credo sia comprensibile una piccola ribellione da parte mia, no?» Dissi cercando di tenere un tono di voce civile.
Andrea alzò le spalle e disse: «Io ti ho detto come la penso, ma sono d’accordo sul fatto che non era colpa tua se il banco di Lavinia è stato rovesciato.»
«Ecco, qui viene il bello: durante l’ultima ora ho chiesto scusa a Lavinia per averle rovesciato il banco!»
Sulla faccia di Andrea si dipinse l’espressione di quando pensava di non aver capito qualcosa, con la fronte aggrottata e le labbra contratte. «Perché l’hai fatto? Non era colpa tua.»
«Lo so! È che il fatto che lei fosse arrabbiata con me mi faceva stare malissimo, sia fisicamente sia mentalmente, e questa sensazione è durata fino a quando non le ho chiesto scusa!»
Andrea alzò le sopracciglia. «A volte non ti capisco proprio, al tuo posto io li avrei lasciati entrambi con le loro sciocche idee.»
Nel frattempo eravamo giunti alla porta, dunque salutai il mio amico e gli diedi una pacca amichevole sulla cartella. «A mai più rivederci.» Dissi ironicamente.
Lui sorrise e disse: «Sì, certo. Ci si vede domani.»
Dopodiché ci separammo: io andai verso sinistra e lui verso destra.
Il freddo di quella mattina era perdurato per tutto il giorno e il mio corpo mi fece notare la differenza di temperatura tra l’interno della scuola e fuori con un brivido che mi percorse lungo tutta la mia altezza di un metro e ottanta.
Dopo aver fatto qualche passo a testa bassa, a causa del peso schiacciante della cartella, alzai lo sguardo al cielo per ammirare la pallida luce del sole che in quei giorni tendeva a mostrarsi sempre più raramente.
Quel giorno apparve, rischiarando i colori spenti dei palazzi che si elevavano alti sul lato destro di Rue Sédillot, facendoli sembrare tiepidi e vivaci. Nessun raggio, invece, fu regalato ai loro gemelli sul lato sinistro della strada e a me.
Indignato, affrettai il passo. Prestai poca attenzione ai camerieri che sparecchiavano i tavoli fuori dal ristorante e alle auto del concessionario dell’Alfa Romeo dietro la vetrina all’imboccatura della via, tutto quello che m’importava, era superare quella vetrina per ricevere un po’ di luce e calore in preparazione al lungo viaggio che mi attendeva, anche perché avevo messo la giacca nella cartella e non avevo nessuna voglia di mettermela.
Il pensiero del tepore che stavo per ricevere oscurò per un momento tutti gli avvenimenti spiacevoli che erano accaduti a scuola, tanto che riuscii persino a sorridere.
Rimasi alquanto sorpreso, quando la luce mi accarezzò, senza darmi nient’altro che la luce stessa. Era una luce fredda, quanto la brezza leggera che aveva appena cominciato a soffiare.
Con la delusione, riemersero anche le immagini di Dario che mi prendeva in giro appena dopo che io ero entrato in classe, che mi buttava la cartella nel cestino, che mi picchiava e di Andrea che non mi consolava come avrei voluto facesse.
E va beh... tanto poi tutto si aggiusterà. Mi dissi e continuai per la mia strada, verso la stazione, verso casa.
Un po’ più tardi, quando fui salito sulla linea C, ritornai col pensiero a quella frase e riflettei sulle ragioni che mi avevano portato a formularla. Questa era un’altra mia abitudine. Spesso c’erano delle frasi, semplici frasi prese da un qualsiasi testo o discorso, che mi rimanevano in testa per tutta la giornata e sulle quali mi veniva spontaneo meditare e divagare, tenendo, nel frattempo, gli occhi spalancati e fissi nel vuoto, cosa che spesso poteva creare pareri strani sul mio conto nelle persone come i miei compagni di classe.
Ecco che riprendevo a parlare da solo, a bassa voce, sempre a causa degli sguardi: «Dunque, ricapitolando: fuori fa un freddo boia, Dario è riuscito a farmi perdere le staffe anche oggi, la mia cartella è finita nel cestino, Andrea non mi ha dato ascolto e... finito. Direi che tutto questo è abbastanza per etichettare il cinque ottobre duemilanove come “giornata pessima”. Ah... e poi ancora c’è quella strana cosa che mi è successa quando sono andato a parlare con Andrea prima che Dario mi buttasse la cartella nel cestino, chissà cosa stava per dirmi... anch’io sentivo di avere qualcosa d’importante da dirgli, ma non riesco a ricordare cosa... qualsiasi cosa fosse, mi sa che è per quello che mi sono ritrovato a pensare quella frase. Interessante, questa faccenda. Vuoi vedere che mi succederà qualcosa di figo ‘sta sera? È tutto il giorno che ho uno strano presentimento riguardo questa sera, e ultimamente il mio sesto senso non sbaglia mai... beh, se è davvero così, non devo far altro che aspettare!»
Solo allora, dopo tante riflessioni personali, mi resi conto che, per qualche motivo, ero felice.
Tirai fuori l’Ipod dalla tasca e ascoltai a tutto volume la canzone “Reasons to Live”, sempre di Dragon Force, una delle mie preferite.
Il resto della giornata lo trascorsi con la terribile ansia per la notte, dunque passò molto in fretta.
Andai a dormire molto presto, con grande sorpresa di mia mamma.
Ero in un luogo fatto totalmente di tenebre, eppure io vedevo nell’oscurità come se fosse giorno. Malgrado non ci fosse nulla in quel posto, sotto i miei piedi c’era un pavimento liscio.
In un punto di fronte a me si aprì un buco nel pavimento nero. Mi avvicinai per guardarci dentro e vidi che somigliava molto alla tana di una talpa, poiché all’interno c’era della terra.
Dal buco veniva uno strano rumore, come se qualcuno fosse lì a scavare. Dopo un po’, il rumore cessò e dal buco uscì un mucchietto di terra che cominciò a salire in aria. Si arrestò quando fu all’altezza della mia faccia, si mosse e cominciò a prendere forma. Pochi secondi dopo, mi ritrovai davanti ad un secondo me, ma interamente color terra. Balzai indietro, strinsi i pugni e mi accorsi di avere le due spade del sogno della notte prima nelle mani. Emettevano una strana luce in quel posto buio.
La mia copia rimase impassibile. Il buco si richiuse, allora la copia creò una spada usando la terra della quale era composta e si lanciò verso di me. Parai incrociando le mie due spade e per poco non caddi di tanto era forte il colpo. Dopo un momento, la spinsi via sciogliendo l’incrocio e lo colpii sul ventre. Un po’ di terra uscì dalla ferita, cadde e fu inglobata dal pavimento.
Avevo capito come stavano le cose: il mio doppio era fortissimo, ma anche molto lento; a ogni ferita perdeva un po’ della terra di cui era fatto, fino a rimanere solo un involucro cavo.
Comunque, anche se era lento, era capacissimo di prevedere le mie mosse.
Riempito di coraggio, lo affrontai al meglio delle mie capacità, felice di poter finalmente usare le mie lame come avrebbe fatto un vero cavaliere. Felice tanto per dire, perché essendo un sogno, non provavo emozioni.
Avevo quasi vinto, ma feci un passo all’indietro troppo corto e la copia mi colpì di striscio il braccio sinistro. Nonostante sanguinassi, non provai dolore. Mi lanciai verso la copia che, priva di difese, si sbriciolò quando la centrai in pieno con una stoccata da parte di entrambe le spade.
La terra che rimase si dissolse.
Tutto ritornò improvvisamente all’immobilità e il silenzio che c’era all’inizio del sogno.
«E adesso?» Chiesi al vuoto.
Mi rispose una voce talmente profonda da dare i brividi. «Umm... te la sei cavata piuttosto bene. Ora puoi andare.»
«Chi c’è? Che cosa vuoi da me?»
Non ebbi risposta. Poi un rumore, come di vetri che si rompono proveniente da tutte le parti, mi gettò nel panico, un momento dopo mi accorsi con orrore che il pavimento si stava rompendo, non potevo scappare da nessuna parte e dunque rimasi immobile e tremante.
Il pavimento cedette e caddi urlando nell’oscurità più fonda, finché, dopo qualche secondo, caddi su qualcosa di morbido.

Mi guardai intorno: ero in camera mia, ma non era stato solo un sogno, poiché ero sopra le coperte. Sentii dei passi che venivano su per la scala e m’infilai in fretta sotto le coperte. Era di nuovo ora di andare a scuola.
Che sogno strano... non me lo sarei mai aspettato. Chissà cosa significa... oh, ma cosa sto dicendo, dimentico che i sogni sono sempre privi di senso, altrimenti non sarebbero poi così liberi nemmeno nei sogni... Pensavo mentre contemplavo l’alba dal finestrino del treno.
Quando il treno si fermò a Gare du Nord, sentii una fitta tremenda alla pancia che mi fece piegare in due, dopo un paio di secondi ne arrivò un’altra e un’altra ancora, fino a quando non sentii pulsare orribilmente tutta la mia pancia.
«E te pareva...» Dissi ansimando, mentre mi premevo entrambe le braccia sulla pancia. «Pure il maldipancia mi doveva venire! Sarà stato il vento di ieri, mamma ha ragione quando dice che dovrei mettermi la giacca...»
Il maldipancia mi veniva spesso. Era una specie d’influenza intestinale ricorrente, e, quando mi veniva, non c’era niente da fare e dovevo andare immediatamente a casa, altrimenti, verso sera avrei cominciato a vomitare finché lo stomaco stesso non fosse venuto fuori.
Scesi dal treno e mi diressi al binario quarantatrè, dove passavano, insieme con quelli diretti all’aeroporto Charles de Gaulle, i treni diretti a Mitry Claye.
Il cellulare da dentro la stazione non prendeva, dunque dovetti aspettare di essere sul treno e d’essere uscito dalla galleria sotterranea tra La Plaine Stade de France e Gare du Nord per telefonare a mia mamma e comunicarle la spiacevole notizia.
«Oh no! Così perderai l’ora di latino...» Disse mia mamma dispiaciuta, quando venne a sapere.
«Beh, non è colpa mia, sai che quando mi viene, mi viene e non c’è niente da fare.»
«Sì, lo so che tu non sei proprio la persona che si finge malata pur di non andare a scuola, almeno quello te l’ho insegnato. Beh, che ti devo dire... vai a casa, avvolgiti bene nella coperta, fai i compiti e telefona ad Andrea...»
«Piuttosto gli mando una mail.»
«Mail o telefono non importa, basta che ti fai dire i compiti, d’accordo?»
«D’accordo.»
«Bene, ciao pulce mia, cerca di riposare. Bacioni, ciao!»
«Ciao mamma.» E schiacciai il tasto rosso del telefono.
Purtroppo, fuori faceva freddissimo, ancora di più del giorno prima e io viaggiavo controvento, il che rese tutto cento volte più sgradevole.
Malgrado fossi ben coperto e camminassi velocemente, il vento gelido mi sferzava il viso e mi accoltellava spietatamente il naso e le mani.
Lo stress amplificò terribilmente il dolore causato dal maldipancia, di modo che, quando arrivai a casa, ero mezzo morto.
Quando ero in quello stato, il mio corpo cercava sempre di impegnare tutte le mie poche energie rimaste nel mantenimento delle sue funzioni più basilari (ad esempio la capacità di camminare), cosicché la mia mente si “scollegava” ed io deliravo peggio di un ubriaco. Dicevo di tutto e di più in quei momenti, cose che, se uno qualsiasi dei miei compagni avesse udito, sarei diventato lo zimbello a vita di tutte le scuole esistenti, perché quelli della mia età hanno l’abitudine di spettegolare su certe cose per tenersi buoni i loro “amici”, quelli con i quali possono stare solo se parlano di cose che a loro, i “boss” del gruppo, piacciono.
Dimenticai persino di mettermi le pantofole dopo essermi tolto le scarpe.
«Quanta piacevole atrocità! Davvero ottima per rasserenare l’animo e far dimenticare gli spiacevoli avvenimenti della giornata!» Esclamai mentre salii le scale, strascicando i piedi dalla stanchezza.
Frasi assurde e ridicole come quella erano comunissime nei momenti di delirio; fortunatamente, quando stavo meglio, non ricordavo mai niente di ciò che avevo detto o fatto nella convalescenza.
Una volta arrivato in camera mia aprii le persiane, accesi la luce e, quasi senza che lo volessi, le mie braccia aprirono l’anta singola dell’armadio (quella più vicina alla porta), presero la coperta blu che si trovava sul ripiano più alto e me la avvolsero attorno alla vita.
Sembrava quasi che stessi portando una gonna con uno strascico lunghissimo.
Sorrisi e mi avvicinai barcollando al computer, lo accesi e, siccome ci metteva un secolo ad avviarsi, mi spostai nel centro della stanza e mi misi a ballare, muovendo la coperta-gonna come se sapessi bene quello che stavo facendo, invece non ne avevo idea.
Ci presi persino gusto, cosicché, quando il computer fu pronto, cercai sul desktop il video che avevo chiamato “Kingdom hearts 358 2 days music - Xion's theme arranged”, schiacciai INVIO e ripresi a ballare seguendo le note allegre del piano che suonava.
Quella musica mi piaceva tanto ascoltarla quando camminavo, perché il suo ritmo era identico a quello dei miei passi.
Questa era una versione allegra dello “Xion’s theme”, quest’ultimo era stato composto da Yoko Shimomura per la colonna sonora del gioco “Kingdom hearts 358/2 days”, un gioco molto bello che avevo sul computer e al quale non giocavo da parecchio tempo.
Avevo impostato il programma per riprodurre musica e video che avevo sul computer in modo che riproducesse il file selezionato all’infinito, in modo da non dover andare là ogni due minuti a fare di nuovo PLAY.
Danzai a lungo.
Il maldipancia mi aveva fatto passare sia la fame sia la sete e solo quando inciampai nella coperta e caddi con un tonfo sordo sul pavimento, mi accorsi di quanto ero stanco.
Dopo aver fatto un po’ di respiri profondi con gli occhi puntati sul pavimento di legno chiaro, alzai lo sguardo e rimasi immobile per un momento: qualcosa non andava. Infatti, vidi che la stanza, nonostante avessi lo sguardo fisso sulla scrivania, girava lentamente verso sinistra.
«Che abbia... la febbre? In questo caso, meglio che vada a dormire.» Dissi sottovoce.
Mi alzai a fatica, reggendomi sul bordo del letto e, quando mi fui rimesso in piedi, il mio sguardo cadde sul secondo ripiano (partendo da terra) dell’armadio bianco, in particolare sulle due righe da disegno che sormontavano la pila degli album da disegno.
Le presi in mano e, come se fossero due spade, cercai di imitare alcune delle mosse che avevo usato nel sogno dell’ultima notte, sicuro che non ci sarei mai riuscito e mi sarebbero cadute dalle mani al primo tentativo, invece ci riuscii alla perfezione.
«E da quando so fare questo?!» Esclamai osservando le due righe, alla ricerca di un qualcosa, un trucco, che spiegasse quella mia nuova destrezza.
Notai che i lati di una delle due righe erano completamente rovinati, pieni di ammaccature. Poi, all’improvviso, ricordai. Ricordai di quel giovedì (alla terza ora di ogni giovedì c’era disegno tecnico, e quindi bisognava portare l’album da disegno e la riga) che Andrea era venuto a casa mia e avevamo creato il “tritura mani”, un gioco dove io e lui ci mettevamo ai lati opposti della mia camera, io contavo fino a tre e poi ci lanciavamo l’uno verso l’altro cercando di colpirci, chi colpiva per primo l’avversario guadagnava un punto, dopodiché entrambi tornavamo alle nostre posizioni originali e si ricominciava. Chi arrivava per primo a dieci aveva vinto e non valeva come punto colpire le mani e gli avambracci, perché altrimenti io, anche senza impegnarmi, lo avrei sempre stracciato: in qualche modo riuscivo sempre a prendergli in pieno le mani; da questo il gioco prese il suo nome.
Quel giorno avevo talmente distrutto quella riga che dovetti comprarne un’altra, però fu uno dei giorni più divertenti della mia vita.
Sorrisi a quei ricordi e rimisi a posto le due righe, dopodiché andai al computer e feci partire la canzone “Gravity of Love” degli Enigma, un gruppo che avevo conosciuto per caso circa una settimana prima. Per il momento, di loro conoscevo solo quella canzone, perché prendevo sempre molto tempo per giudicare una canzone e poi, se mi era davvero piaciuta, ne cercavo altre dello stesso gruppo.
Su “Gravity of Love” ero incerto, perché se la ascoltavo sul treno non mi piaceva, invece, se la ascoltavo quando stavo male o prima di andare a dormire, una volta che schiacciavo PLAY, tutte le altre canzoni mi sembravano mediocri al confronto.
Mi tolsi la coperta, mi distesi sul letto, mi misi addosso la coperta blu, incrociai le mani sul torace e chiusi gli occhi.
Le parole della canzone presero a poco a poco forma nelle mia mente ed entrai in un dormiveglia dolcissimo, accompagnato dalla lenta melodia di “Gravity of Love”.
Ore dopo, quando mi svegliai, il maldipancia era ormai passato, ma mi sentivo come nella mia testa ci fossero cinque dure pietre che, a ogni mio piccolo movimento, sbattevano contro le ossa del mio cranio, facendomi un male terribile. Come se ciò non bastasse, avevo un caldo terribile, ma le mie mani e i miei piedi erano gelati e io non sudavo. Tutti i chiari sintomi della febbre.
Con un enorme sforzo di volontà, feci i compiti che avevo scritto sul diario per il giorno dopo.
Alla fine mi sentii il doppio peggio di prima.
«Decreto che... domani non andrò a scuola.» Dissi solennemente, strascicando le parole.
Decisi che non avrei mandato la mail ad Andrea, quella aveva l’aria d’essere una lunga assenza.
Il resto della giornata passò in fretta, come se quel giorno fosse già finito.
Prima di andare a dormire, accidentalmente andai a sbattere contro uno stipite delle porta della mia camera. Da quel momento, quel punto cominciò a prudermi. Inoltre, mi accorsi che coincideva con il punto dove ero stato colpito nel sogno e, quando mi tolsi i vestiti, vidi che la ferita c’era, ma era stata ridotta a un graffietto che a stento si vedeva.
Ero in ansia per la notte, un po’ per paura, un po’ per la gioia di tornarci, perché in fondo, mi divertivo.
Dopo essermi addormentato, il sogno non tardò ad arrivare.
Il posto era sempre lo stesso, ma ora, in qualche modo, ne conoscevo il nome: Le Tenebre dell’Infinito.
«Cosa mi farai affrontare stavolta?» Dissi al vuoto che mi circondava.
«Bene, vedo che hai capito.» La Voce era tornata.
«Chi sei?»
«Eh eh eh... anche se mi conosci da poco, dovresti comunque ricordarti bene di me, anche senza vedermi.»
«Qualcuno che conosco da poco? Poco quanto? E come pretendi che mi ricordi di qualcuno solo dalla voce?»
«Qualcuno? Ho mai parlato di una persona?»
«Cosa intendi dire?»
«Per il momento, direi che la definizione più adatta per ciò che sono è: qualcosa.»
«Non ho capito niente, ma non credo che tu abbia voglia di spiegarmelo un’altra volta, non è vero? Perciò mettimi davanti al mio avversario e basta. Non so dove questo mi porterà, ma vorrei scoprirlo.» Dissi deciso e le due solite spade apparvero nelle mie mani.
Fu la stessa cosa di prima, solo che stavolta non c’era un buco di terra, ma una pozza d’acqua.
Il meccanismo fu lo stesso: una sfera liquida s’innalzò e prese la mia forma, ma non si creò una spada. Quando la pozza d’acqua evaporò nell’oscurità, la copia mormorò qualcosa e un fulmine mi centrò in pieno, lasciandomi mezzo stordito e paralizzato, la copia ne approfittò per crearsi una spada, aggirarmi rapidamente e attaccarmi sulla schiena. Si muoveva sul pavimento di tenebre come avrebbe fatto un’esperta pattinatrice di ghiaccio sulla sua pista preferita. Ripeté il sistema colpo-aggira-colpo per un po’, per concludere scagliandomi lontano.
Mi rialzai e capii che quella, al contrario della mia copia di terra, era velocissima, dunque doveva essere molto scarsa nel combattimento ravvicinato.
Riprovò lo stesso sistema di prima, sembrava perfetto e inschivabile allora decisi di provare un paio di mosse a caso. Provare a gettarsi verso la copia mentre mi aggirava non funzionava: era troppo rapida. Girarsi improvvisamente e colpirla prima che mi colpisse lei da dietro dopo avermi aggirato non funzionava, saltava sopra la mia testa e mi colpiva da dietro. Allora dovevo trovare un modo di proteggermi su tutti i lati allo stesso momento.
Idea trovata.
Finsi di volerla attaccare dopo che lei mi avesse aggirato e, com’era già successo, essa saltò sopra la mia testa. Allora io mi misi a girare su me stesso in modo che lei atterrò e fosse tranciata di netto da quel turbine di lame. Un paio di colpi, cadde ed evaporò.
«Bene, bene. Continua, più ne sconfiggerai e più io diventerò reale, forte e simile a te.» Disse la Voce.
«Non so cosa questo voglia dire, ma sono pronto a combattere ancora. C’è solo una cosa che vorrei chiederti.»
«Basta che non riguardi la mia identità.»
«Quanto durerà questa serie di combattimenti?»
«Non lo so, ma spero il più a lungo possibile.»
«Perché?»
Il rumore di vetri che si rompono ritornò, il pavimento si ruppe e mi ritrovai nel mio letto, sopra le coperte, fradicio di sudore.

Mi guardai intorno freneticamente, per accertarmi che il sogno fosse veramente finito e non ci fosse nessun altro nella stanza, dopodiché sciolsi ogni legame con il mio corpo per concentrarmi nel ristabilire la mia regolare respirazione.
«Ma cosa... sono solo dei sogni, ma allora perché ho così tanta paura?!» Urlai, senza badare al fatto che mia mamma mi avrebbe certamente sentito.
Infatti, quasi subito, udii un rumore di coperte spostate proveniente dalla camera dei miei genitori, dei passi veloci risuonare sul pavimento del pianerottolo, il rumore della porta della mia camera che si apriva e vidi la lampada sul soffitto accendersi.
«Cos’è successo?!» Chiese mia mamma, preoccupata.
«Niente, la febbre mi ha fatto fare un incubo tremendo.»
Lei mi venne accanto e mi mise la mano sulla fronte.
«Scotti e sei bianco come un morto, credo sia meglio che tu oggi non vada a scuola.»
«Lo penso anch’io, scusa per averti svegliato.»
«Ma cosa scusa! Se stai male è naturale che io molli tutto per venire a vedere come stai, pulcettina mia!» Esclamò lei prendendomi la mano destra per accarezzarla e sbaciucchiarla.
Sorrisi e dissi dolcemente: «Grazie mamma.»
Dopodiché, mi rimisi sotto le coperte e cercai di riaddormentarmi, senza mai riuscirci, per paura che il buio delle mie palpebre si trasformasse di nuovo nel buio di quel posto.
Per due settimane andò avanti così, a forza di copie di terra e d’acqua. Riuscire era sempre più complicato e difficile.
Anche quando (dopo tre giorni) la febbre mi passò, ormai per me non esisteva nient’altro, ero diventato una specie di fantasma: una persona che c’è senza esserci. Non parlavo più con nessuno, nemmeno con Andrea e Aristeo, Dario e compagnia non mi davano più fastidio, i prof non mi chiamavano mai, ma a me non importava.
La domenica passò e l’ultimo combattimento fu contro una dozzina di copie d’acqua e di terra, avevo veramente rischiato di non farcela, ma ce l’avevo fatta. Dopo il martedì, la Voce non si era più fatta sentire.
Era di nuovo lunedì e, passato il giorno, arrivò il tempo di sognare.
Ormai era chiaramente percepibile, c’era stata fin dall’inizio, ma era così minuscola che non si poteva avvertire. C’era una presenza in quel luogo, era ciò che mi aveva aiutato fino a quel momento curandomi le ferite ogni mattina e mi portava e mi faceva uscire dalle Tenebre dell’Infinito ogni notte.
Molto probabilmente quella presenza era la Voce.
Ogni volta che entravo, la sentivo sempre più potente, ma quando i nemici apparivano si stancava improvvisamente, forse perché era quella presenza a crearli.
Ora l’aria fremeva a causa dell’immenso potere che si trovava in quel posto.
A un certo punto, ogni vibrazione cessò: un nuovo avversario era appena stato creato.
Davanti a me, l’oscurità di quel posto si concentrò in un punto.
Da quel punto si formò un demone. Aveva corna, ali e, su quella che generalmente dovrebbe essere la faccia, si stagliava un sorriso enorme quanto crudele.
In confronto a lui, le Tenebre dell’Infinito sembravano candide come la neve.
Non aveva niente che potesse far pensare che fosse una mia copia, eppure aveva anche lui due spade, entrambe nere come la pece.
Con un fruscio d’aria, sparì per riapparire dietro di me, mi girai, lui scomparve nuovamente per riapparire dietro di me. Non avevo nessuna via d’uscita. Mi trafisse nel mezzo della schiena con una delle spade. Questa volta provai dolore e vomitai sangue.
Il gusto del sangue era veramente orrendo, sembrava come leccare un coltello.
Poi il demone estrasse la spada, mi fece voltare verso di lui e il sogno finì.
Ora lo vedevo chiaramente, davanti a me, grazie alla poca luce che attraversava la fessura tra le persiane delle due finestre.
Il demone era davanti a me con quel suo sorriso terrificante.
Mi guardai il petto: una delle sue spade nere era conficcata nel mio cuore e il sangue gocciolava sul pavimento di legno.
All’inizio sentii delle orribili contrazioni in quella zona, ma la mia sofferenza durò ben poco e il dolore cominciò a sfumare velocemente, fino a quando non sentii più niente.
La vita mi abbandonava.
È come quando mi addormentavo: non mi accorgevo che stava succedendo.
Stranamente, non vidi la mia vita scorrere davanti ai miei occhi nei pochi secondi che mi rimanevano, come avevo sentito dire da una mia maestra delle elementari. Forse questo significava che non era finita per me, e che a breve avrei visto cosa c’era oltre.
Forse… c’è speranza. Questo pensiero mi fece addirittura sorridere, dopodiché chiusi gli occhi e mi addormentai serenamente.
Ero morto.
06/02/2010 15:05
 
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Vedi, è come ti avevo detto: il timore di aver scritto qualcosa di simile ad altro già esistente non può proprio sussistere, per il semplice fatto che si tratta del frutto di un lavoro tuo, che rispecchia la tua mente, le tue esperienze e le tue riflessioni...
[SM=g27987]




"All along, I was searching for my Lenore,
In the words of Mr. Edgar Allan Poe.
Now I'm sober and nevermore
Will the raven come to bother me at home?"

Kremlin dusk - Utada Hikaru

"Tu credi che questo sia stato difficile? La verità ti spezzerà il cuore."
(Lady Sophie di Nessun Dove - "La Chiave del Caos")







07/02/2010 00:05
 
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Allora [SM=x1263925] , come lo trovi? [SM=x1263964]
07/02/2010 21:44
 
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Allora...

Mi piace!!

Innanzi tutto ti faccio le mie congratulazioni per come sei riuscito a rendere benissimo le emozioni del tuo protagonista, il modo in cui l'hai reso 'vivo' ai miei occhi di lettrice, e l'hai caratterizzato fino a renderlo credibilissimo...
Le atmosfere oniriche di alcune sequenze sono molto convolgenti, e mi hanno lasciato con il fortissimo desiderio di sapere come continua la storia (e specialmente, dopo la fine del secondo capitolo... ) [SM=x1263924]
Un consiglio che mi viene da darti è forse quello di cercare di 'allegerire' le descrizioni degli ambienti, tentando magari di usare meno parole per snellire il tutto e rendere la narrazione più fluida (ad esempio, nella descrizione della stanza del protagonista nel primo capitolo). Per il resto direi che sono molto curiosa, e voglio scopire cosa succede più avanti... [SM=x1263945]



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08/02/2010 18:32
 
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Devo proprio dire che mi sento meglio da quando ho cominciato a postare il mio libro, forse perchè tutte queste riflessioni che faccio su di me ogni giorno sono finalmente lette da qualcuno in grado di aprezzarle [SM=x1263956] e non più dai miei compagni di classe che mi buttano gli astucci e la cartella nel cestino! [SM=x1263946]
A grande richiesta ( [SM=x1263928] ) ecco che arriva il 3° capitolo!
Mettere tutte le varie parti in corsivo è stata una vera tortura, siccome il copia-incolla non conserva il formato del carattere [SM=x1263950]


Condividi il tuo io con me



Qualunque cosa fosse successa, non ero morto.
Aprii gli occhi.
Ero in un posto molto simile alle Tenebre dell’Infinito, ma non vi era oscurità. Sotto ai miei piedi non c'era alcuna superficie solida, ma ero semplicemente sospeso immobile e tutto ciò che c’era intorno a me erano nuvole di un grigio chiaro tendente al bianco.
In qualche modo, avevo indosso i vestiti che indossavo di giorno: i jeans blu e la felpa grigia.
Il silenzio era totale, ma c’era qualcosa che non andava. Il silenzio non è mai totale, un rumore c’è sempre: il rumore del proprio corpo, quello del cuore che batte, e io non lo sentivo.
Misi la mano sullo stomaco in alto a sinistra, ma niente, il mio cuore non batteva.
Eppure io ero vivo, non c’era alcun dubbio. Mi diedi persino uno schiaffo per accertarmi che fosse reale: lo era eccome. Eppure, c’era qualcosa che non andava. NON poteva essere reale, semplicemente perché non poteva.
Non era possibile che il mio cuore non battesse e io fossi cosciente allo stesso tempo.
Non era possibile che stessi fluttuando tra le nuvole.
Non c’era una spiegazione a tutto questo, dunque non era possibile.
Non poteva nemmeno essere un sogno, perché ero terrorizzato ed è risaputo che nei sogni non si provano emozioni né si sente dolore.
Ah! Però forse una spiegazione c’era: la pazzia.
Sì... molto probabilmente, in quel preciso istante, io mi trovavo nel letto, ma, a causa di una qualche impronunciabile malattia mentale, la visione abituale della realtà era stata distorta e mi appariva in quel modo.
Ecco che tutto assumeva un senso, comprese le ferite che avevo trovato sul mio corpo ogni mattina da quando erano cominciati quei sogni: dovevo essermele fatte da solo durante la notte!
Chissà dove ero andato in quelle notti, incosciente delle mie azioni e guidato solo dalla mia mente deformata.
«Che cosa vuol dire questo?! Perché il mio cuore non batte?!» Il mio urlo si perse nell’infinità di nuvole che mi circondavano.
«Oh! Finalmente! Era proprio ora che ti decidessi a venire!» La Voce era tornata.
Mi guardai attorno, ma non vidi nulla al di fuori delle nuvole, così chiesi: «Dove mi trovo?»
«Dove ti trovi? Devi imparare a fare domande più utili di questa.» Rispose la Voce.
«Sono morto?»
«Sì.»
«Come sarebbe?! Io sono qui col mio corpo e ne ho il pieno controllo! Come posso essere morto?!»
«Hai ancora il tuo corpo perché io te lo permetto.»
«Fatti vedere!»
Ci fu un attimo di silenzio, come se la Voce si fosse presa un momento di pausa per pensare, poi disse: «Va bene, adesso posso.»
Davanti me ci fu una piccola luce e la Voce apparve, anche se non credetti ai miei occhi quando la vidi: un drago.
Era enorme, le squame color oro lo rivestivano completamente dalla coda al muso, diventando più chiare sotto la gola e sul ventre, i lunghi artigli ricurvi erano di colore nero pece, il suo muso era a forma di U, le squame si rimpicciolivano man mano che ci si avvicinava alle narici simmetriche e alla bocca enorme e sulla sua testa non c’erano corna.
Ma la cosa che mi colpiva di più erano i suoi occhi: uno verde chiaro e l’altro celeste. Notai anche che ogni volta che sbatteva le palpebre, gli occhi si scambiavano di posto.
In quel momento, provai la stessa sensazione che avevo provato il giorno che Andrea aveva cercato di dirmi qualcosa a scuola , ma, al contrario di quella volta, quella specie di ago entrò per porre rimedio a ciò che aveva combinato la volta precedente.
Finalmente ricordai cosa avrei voluto dire ad Andrea e Aristeo quel giorno e riconobbi il drago del mio primo sogno.
Restammo a osservarci per un po’, entrambi avidi di conoscere a fondo l’aspetto dell’altro, poi lui si disse, muovendo la bocca come avrebbe fatto un essere umano: «Il mio nome è Noxir, ma immagino che tu lo sappia già, visto che sei stato tu a chiamarmi così.»
«Tu sei... il drago che la immaginazione ha creato la notte del quattro ottobre?»
«Non proprio, diciamo che ciò hai appena detto è giusto a metà. Ora non abbiamo molto tempo, quindi cercherò di essere conciso: io sono stato creato da qualcuno innumerevoli millenni fa, da uno dei primi umani che ci diede un’esistenza nella vostra mente. Poi attraverso il tempo, le persone hanno continuato a ricordarci e ad assegnarci nuovi nomi, nuovi aspetti e nuovi poteri. Tu sei la persona che mi ha ricordato e dato un nuovo aspetto in questa generazione. Quindi ti appartengo.»
Ok, sono decisamente pronto per andare al manicomio. Pensai e scoppiai a ridere.
«Cosa ci trovi di così divertente?» Chiese lui attonito.
«Ah ah! Adesso capisco perché i pazzi ridono, per la disperazione! Ah ah ah!»
Noxir inarcò le sopracciglia. «Cosa vai blaterando? Cosa centrano i pazzi? E perché stai ridendo?»
Io risi ancora più forte: «Rido perché è ciò che un pazzo farebbe e io mi sono appena reso conto di essere pazzo! Ah ah ah!»
«Cosa ti fa credere di esserlo?»
«Insomma, guardami: credo sia abbastanza evidente, anzi, dovresti vedere ciò che sto vedendo io in questo momento.»
«Non credo che tra ciò che vedo io e ciò che vedi tu ci sia molta differenza.»
«Probabile, ma solo un pazzo potrebbe vedere questo cielo grigio e te, chiunque tu sia.»
«Ti ho già detto chi sono. Non riesco a seguire il tuo ragionamento, sempre che ce ne sia uno.»
«Hai ragione, in quello che sto dicendo non c’è alcun ragionamento, essendo pazzo, ho perso la capacità di ragionare lucidamente, sto addirittura parlando con un’allucinazione!»
«E dove sarebbe quest’allucinazione di cui parli?»
Smisi di ridere, puntai entrambi gli indici verso di lui e urlai: «TU! SEI TU! Tu non sei altro che un illusione, una creazione molto realistica concepita da questa mente fuori controllo!»
Per rendere l'idea, mi presi la testa con entrambe le mani.
Lui tirò indietro la testa e spalancò gli occhi. «Allucinazione?! Io?! Come ti permetti di insultarmi così?! Tu, piccolo umano insignificante...» Il drago dorato prese a fare respiri profondi e alcune volute di fumo gli uscirono dalle narici.
Io incrociai le braccia e gli dissi, in tono beffardo: «Ma sto semplicemente dicendo il vero, non ti pare? Tanto non ho paura di te. Non sei niente e, in quanto tale, non puoi farmi nulla.»
Uno sbuffo enorme uscì dalle narici del drago dorato, poi più niente.
Mi parve addirittura che si fosse calmato, quando disse: «Adesso ti faccio vedere io che cosa questa “illusione realistica” è capace di fare.» E ruggì talmente forte che tutto il mio corpo tremò e i miei capelli si rizzarono leggermente.
Tutte le mie emozioni e le parole che dovevo ancora gridare se ne andarono insieme al colore normale della mia pelle.
Noxir sorrise e, con un tono molto autoritario, ripeté ciò che aveva detto prima. Io non potei fare altro che ascoltarlo in silenzio.
Una volta che ebbe finito, vi aggiunse questa frase: «Vedi di mettertelo bene in testa: non sei pazzo, questo posto e io siamo reali quanto te, e tu, in questo preciso momento, sei morto.»
Solo allora trovai la forza di replicare ancora: «Perché mai dovrei crederti? La mia ipotesi è molto più credibile.»
«Perché non hai scelta, a meno che tu non voglia restare qua, da solo, perché io non ne ho la minima intenzione.»
Cercai di ragionare con me stesso, ma senza parlare, per evitare che quel drago feroce e irascibile capisse che avevo ancora dei dubbi su di lui: E se avesse ragione? Se fosse così non sarebbe poi tanto male... dopotutto, non è ciò che ho sempre desiderato? Allora perché non riesco ad accettarlo e basta?! Coraggio Jacopo, cerca di assecondarlo... è l’occasione che stavi aspettando, non puoi lasciartela sfuggire così! Umm... va bene, per questa volta mi ascolterò.
Mi schiarii la voce e dissi: «Dunque... tu saresti il mio drago?»
«Oh! Ci sei arrivato, finalmente!»
«Allora a che cosa servivano i sogni e la mia morte?»
«Ogni avversario era per metterti alla prova e permettermi di capirti. I miei poteri variano a seconda di quanti nemici hai sconfitto nei sogni. La tua morte è stata necessaria per mettere un limite ai miei poteri. Devo ammettere di essere rimasto impressionato da quanto hai resistito, pochi sono arrivati così lontano...» Lasciò la frase in sospeso per esaminarsi gli artigli, come se non si conoscesse bene.
«Pochi? Vuoi dire che ce ne sono altri ai quali è successo tutto questo?.»
Quando rise, sembrò come un tuono fragoroso, visto il silenzio che ci circondava. «Ce ne sono milioni di ragazzi come te che hanno avuto gli stessi sogni, ma con avversari differenti.»
«Ora cosa succederà? Mi farai ritornare alla vita insieme a te?» Chiesi io.
«Esatto. Non pensare però che sia facile: il tuo cuore è fermo e privo di vita. Il mio è traboccante di vitalità, quindi... io ti devo dare metà del mio cuore e tu metà del tuo: diventeremo una cosa sola. Sei disposto a condividere il tuo io con me?»
«Umm... la mia personalità sarà cambiata?»
«Per metà, sì. Così come la mia.»
Ci riflettei un momento sopra, in fondo era una scelta semplice: vivere insieme a un drago o restare morto così com’ero.
«Va bene. Farà male?»
«Molto. Staccarsi da una parte di se stessi è doloroso, anche se per voi giovani è più facile. È meglio se chiudi gli occhi.»
Sospirai e chiusi gli occhi. «Sono pronto: vai.» Dopo pochi secondi, sentii come se qualcosa mi stesse strappando in due lungo tutta la mia altezza di un metro e ottanta. Non solo il corpo provava dolore, una parte della mia personalità si stava staccando, lasciando dietro di sé una sensazione di totale indifferenza e noia. Era come se metà del mio modo di interpretare, capire e reagire se ne andasse insieme a metà dell’intensità delle mie emozioni.
Non riuscivo a respirare, parlare o pensare.
Quel vuoto fu colmato un istante dopo da qualcosa di stranamente caldo e ricco di orgoglio, coraggio e fierezza.
Quando ritornai vivo, cominciai a respirare affannosamente. La cosa curiosa era che, anche dopo essermi ripreso, il mio cuore batteva molto più velocemente del normale.
Sicuramente la causa era la metà di cuore di drago che era legata al mio vecchio cuore.
Dopo aver passato un minuto ad ascoltare i veloci battiti del mio nuovo cuore, mi guardai attorno: Noxir se n’era andato.
«Dove sei finito?» Chiesi alle nuvole.
Sono qui, dentro di te. La voce era di Noxir, ma non veniva da nessuna parte. Meglio: non veniva da fuori.
«Puoi uscire?» Chiesi, questa volta rivolto al mio corpo.
Certo.
In quel momento, ci fu un rumore dentro di me: come il suono di una chiave girata in una vecchia serratura. Era come se sul mio cuore si fosse aperta una fessura e da quella uscì Noxir con un lampo accecante e due semplici parole: Come va?
Molto meglio, è stata un’esperienza singolare. Perché mi stai parlando attraverso il pensiero?
Sono uno con te, quindi ho scelto di usare un metodo di comunicazione più profondo e diretto.
Come facciamo a uscire da qui?
La strada è lunga e difficile, ma assieme ce la possiamo fare. Ah, prima di partire: scegli.

Non potevo affrontare la strada senza nulla per combattere. Noxir aveva i denti, gli artigli e le fiamme, ma a me serviva un’arma.
Il drago d’oro tracciò un cerchio luminoso col raggio di un metro nell’aria attorno a me con un artiglio. Il cerchio si spezzò in molti segmenti e ognuno prese la forma di un’arma.
A me non serviva guardarle tutte, perché davanti a me, tra una spada singola e uno scudo, c’erano due spade identiche in tutto e per tutto alle due dei miei sogni.
Allungai le mani verso di loro e loro vennero da me.
Ho deciso.
Noxir sentì e fece dissolvere nell’aria le altre armi.
Con due spade ti sarà difficile parare.
Lo so. Non sono mai stato bravo a parare se non lama contro lama, ecco il motivo della mia scelta.
Ancora una cosa: ti ho lasciato tutti i tuoi ricordi e dunque non so molto su di te. Mi faresti dare un’occhiata?
Certo.
Lui chiuse gli occhi e quando sentii la sua presenza che rovistava tra i miei ricordi, mi sembrò come se una piuma si muovesse dentro la mia testa, facendomi un solletico tremendo. Era come rivivere in qualche secondo la mia vita, senza riuscire a spiegarmi come mai certe cose sono andate in un certo modo e non in un altro.
Poi, lui riaprì gli occhi e disse: Non hai avuto una vita facile, ma sei comunque riuscito a trovare la felicità in alcuni amici fidati.
Fortunatamente oltre agli amici ho anche avuto mia mamma.
Aggiunsi io.
Mamma? Che cos’è?
Eh?! Non sai cos’è una mamma?! Non ne hai una?

Noxir mi lanciò uno sguardo interrogativo.
Io sospirai e mi poggiai una mano sulla fronte. Ahia, non so se sono in grado di spiegartelo... dunque, la mamma è la donna che ti mette al mondo e... euh... che ti protegge, ti consola e ti ama con tutta se stessa fin dalla nascita. È una delle poche persone nella vita della quale ci si può sempre fidare ed è sempre pronta ad aiutarti quando ne hai bisogno.
Noxir rifletté un po’ su quello che avevo detto e poi disse: Io, al massimo, ho avuto un creatore, ma non credo di avere mai avuto qualcuno come dici tu, non ho nemmeno capito tutto ciò che mi hai detto. Anche se, da come ne parli, questa “mamma” sembra essere una persona molto importante. Quando saremo nel tuo mondo potrò incontrarla?
Importante per me, poiché è la MIA mamma, per ogni persona esistente nel mio mondo c’è, o c’è stata, una mamma.
Ma allora non è unica per tutti!
Beh, è unica per me, poiché la mamma è un’esperienza assolutamente individuale e che non è uguale per nessuno.
Voi umani siete sempre così complicati da capire... Mi sa che mi ci vorrà un bel po’ di tempo prima di diventare veramente un tutt’uno con te. Adesso basta parlare, avremo tutto il tempo per la spiegazioni quando saremo nel tuo mondo, ma ora dobbiamo proprio andare.
Dove?
Alla Strada. Lui sorrise.
In quel momento, ciò che ci aveva tenuti sospesi in quello spazio infinito di nuvole grigie, improvvisamente cedette e precipitammo nel vuoto.
Io mi misi a strillare.
Noxir, al contrario, piegò le ali per andare più veloce e si mise sotto di me, dopodiché le aprì e io caddi con un bel tonfo nell’interstizio tra la terza e la quarta punta cervicale.
Non ebbi il tempo di chiedere spiegazioni che una figura circolare apparve in fondo al baratro.
Andavamo velocissimi e non riuscivo ad aggrapparmi a niente sul dorso del drago, eppure non cadevo.
Man mano che scendevamo il grigio delle nuvole si trasformava in un nero pece.
La figura s’ingrandiva mentre scendevamo, a pochi metri di distanza Noxir aprì di colpo le ali per fermare la caduta, a me sembrò peggio che essere caduto.
La piazza circolare sulla quale eravamo atterrati era composta di cerchi concentrici di marmo con colori dal cremisi al giallo pallido. Gli stessi colori delle mie spade.
Scesi lungo il fianco del grande drago dorato e feci qualche passo in avanti per poi voltarmi verso il mio drago. Allora? Dov’è la “Strada” della quale stavi parlando? E perché le mie spade hanno lo stesso colore di questa piazza?
A quanto pare te ne sei finalmente accorto. Spiegare a pensieri è difficile, fartelo vedere mi è molto più facile.
Va bene.

Lui tese una zampa verso di me e quando fu a meno di un metro di distanza dalla mia faccia, sulla punta di un artiglio si accese una fiammella che rimase sospesa nell’aria.
Rimasi un po’ a osservarla, affascinato, quando sentii caldo vicino alla mano destra. Guardai: la spada con la lama bianca e rossa si era materializzata dal nulla nella mia mano e brillava di luce cremisi.
Noxir spense la fiammella e la spada smise di brillare. Non l’avevo notato prima, ma aveva un rubino incastonato all’inizio della lama.
Fuoco. Ecco che cosa significava. Noxir aveva il controllo sul fuoco, una capacità che ora condivideva con me.
Che cosa aveva ricevuto lui in cambio da me?
Tesi in avanti la mano sinistra e l’aria circostante si concentrò in quel punto per formare un fazzoletto giallo pallido. Si muoveva continuamente, agitato dalla sua stessa essenza: l’aria.
Mentre abbassavo la mano sinistra, la spada con la metà sinistra gialla si materializzò con un leggero spostamento d’aria, anch’essa brillava e si spense quando quel fazzoletto d’aria si dissolse.
Guardai Noxir e gli dissi: Ho capito: aria e fuoco.
Bene, ma c’è ancora qualcosa che non sai. Ti sei chiesto come mai una metà delle tue spade è bianca?
No.
Aria e fuoco sono i due elementi che generano la luce, invece acqua e terra creano l’oscurità.
Da cosa è determinato l’elemento di una persona?
Dal carattere.

Io mi guardai il dorso della mano destra, chiedendomi quale potere si celasse sotto la mia pelle. Ok, quindi io posso generare la luce?
Sì, vuoi provare?
Come si fa?
Fai come hai fatto per l’aria.

Quando avevo creato il fazzoletto, mi ero concentrato sul concetto “aria”. I miei pensieri mi avevano condotto a perdermi completamente nelle idee che avevo dell’aria, fino a quando avevo trovato un’idea che le comprendesse tutte.
Ora dovevo fare la stessa cosa.
Pensai e il fiume infinito d’idee cominciò a scorrere.
Luce, sole, luna, stelle, scintilla, alba, mattina, colore, vista... qualcosa che esprima tutto ciò... trovato!
Alzai verso l’alto le due spade in modo che le loro punte si toccassero sopra la mia testa.
Dalle punte unite delle spade partirono sette raggi di luce che andarono verso l’alto per ricadere, come il getto di una fontana, nell’oscurità che circondava la piazza di marmo.
L’oscurità si trasformò per un momento in luce abbagliante.
Quando il lampo si esaurì, vidi che attorno a Noxir e a me c’era un cielo fatto interamente di luce color crema. In alcuni punti si faceva più scuro, dando l’impressione che in alto ci fossero qui e là delle nuvole con colori che andavano dal dorato al marroncino.
Girai più volte su me stesso con le braccia aperte per ammirare quello spettacolo meraviglioso il cui artefice ero io.
Anche Noxir ne era affascinato. Ottimo lavoro.
Non avrei mai pensato di poter creare qualcosa di così bello...
Io sì.
Davvero? Hai davvero così tanta fiducia in me?
No, mi hai frainteso. Perché, vedi, in questo posto la magia è al massimo del suo potere. Nel tuo mondo ti occorreranno mesi di esercizio per ottenere lo stesso risultato di ora.
Oh...
Ora dobbiamo andare, ti ho mostrato tutto ciò che dovevi sapere.
Andare dove, di grazia?
Voltati.

Feci come aveva detto e vidi che dietro di me c’era un sentiero di pietra che si perdeva oltre l’orizzonte di quel mare-cielo infinito di luce.
E questo? Quando siamo arrivati qua non c’era!
Non c’era perché non eravamo pronti a proseguire.
Non riesco a vederne la fine...
È un viaggio molto lungo da qui al tuo mondo.
Va bene, andiamo.

Nel frattempo le spade erano sparite, ma sapevo che sarebbero ricomparse al momento giusto.
Cominciai a camminare in quella direzione, ma Noxir non si mosse. Tu non vieni? Gli chiesi.
Speravo di viaggiare in un modo più rapido e comodo.
Io sorrisi e corsi da lui. Lui mi aiutò a salire stendendo una delle zampe anteriori, ma quando salii sul suo dorso mi accorsi di non avere nessun punto dove aggrapparmi a parte le punte cervicali.
Aspetta, come farò a non cadere, mentre voli?
Per questa volta andrò piano e non correrai alcun rischio. Cerca di tenerti forte alle punte sulla mia schiena.

Noxir indietreggiò, prese la rincorsa e scattò in avanti aprendo le grandi ali dorate.
L’aria urlò nelle mie orecchie.
Aprii le braccia urlando e per poco non caddi. La felicità provata era indescrivibile, poiché era qualcosa di totalmente unico.
Sotto di noi il sentiero grigio scorreva sinuoso come un ruscello.
Noxir ogni tanto faceva qualche manovra improvvisata a causa della scarsa conoscenza delle sue capacità, ma il piacere provato era infinito.
09/02/2010 22:18
 
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Gli occhi del drago Noxir mi piacciono veramente da impazzire [SM=x1263923] ...



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Kremlin dusk - Utada Hikaru

"Tu credi che questo sia stato difficile? La verità ti spezzerà il cuore."
(Lady Sophie di Nessun Dove - "La Chiave del Caos")







10/02/2010 16:33
 
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Allora, sono andato a rivedere la parte della descrizione della camera da letto (la mia reazione dopo averla letta: [SM=x1263934] [SM=x1263950] [SM=x1263946] "Ma queste boiate le ho davvero scritte io?! Ma sono così scemo?! [SM=x1263931] ) e dopo l'ho un po' fixata [SM=x1263923]
Purtroppo mi sa che per il quarto capitolo dovrai aspettare un po', perchè l'ho riletto e... HO SBAGLIATO TUTTO!!! FA SCHIFO!!!!! [SM=x1263922] [SM=x1263922] [SM=x1263922]
24/02/2010 15:02
 
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Ooooooooohhhhhhhhllllèèèèèè!!!!!!!!!! [SM=x1263966] Ecco il 4° capitolo, con un immenso, stragrande ritardo! [SM=x1263923]



Drakore



Passò un bel po' di tempo, ma il paesaggio non mutò affatto e cominciai ad annoiarmi.
Quanto manca ancora? Chiesi stiracchiandomi.
Circa un’ora. Fu la risposta di Noxir, che sbadigliò. Posso guardare un po’ i tuoi ricordi nel frattempo?
Non l’avevi già fatto?
Quella di prima è stata solo una sbirciatina di qualche secondo, mentre ora vorrei guardare un po’ più attentamente.

Io sospirai e mi distesi in avanti, incrociando le mani sotto il mento. Va bene.
Puoi parlarmi mentre lo faccio. M'informò Noxir. In effetti, sarebbe bene che tu cominciassi a prendere coscienza delle regole che la mia presenza t’impone di rispettare.
Allora che aspetti? Dimmele!
Ecco, vedi... adesso non mi vengono in mente, ma se mi fai le domande giuste sono sicuro di poterti rispondere. Cosa vorresti sapere?

La sensazione di solletico nel cranio ritornò.
Io cominciai a riflettere sulle domande più ovvie e semplici che avrei potuto fare. Umm... dunque... perché tutto questo è successo?
Tutto cosa?
I sogni, la morte e la vita... perché? Quale condizione l’ha permesso?
È una storia troppo lunga perché riesca a spiegartela interamente adesso. Ho fretta di vedere quant'è cambiato il tuo mondo dall'ultima volta.

Quella frase mi diede l'ispirazione per la domanda seguente: Quand’è stata l’ultima volta?
Io... non me lo ricordo. Tra un’apparizione e l’altra nel tuo mondo, noi draghi dormiamo e dimentichiamo. Infatti, io non mi ricordo quasi niente del mio passato.
Oh... mi dispiace.
Non dispiacerti. Anche se ho dimenticato, quando saremo tornati nel tuo mondo potrò farmi una mezza idea di quando è stato. C’è altro che vorresti chiedermi?
Quando saremo di nuovo nella realtà, tutti ti potranno vedere?
Ma ti sembra?! Certo che no! Soltanto un Drakore può vedere un drago, poiché noi draghi siamo invisibili agli occhi degli altri umani.

Mi vergognai di aver fatto una domanda così stupida e provai a immaginare cosa sarebbe successo se qualcuno avesse visto Noxir volare sopra Parigi.
C’è solo un modo per le persone normali del tuo mondo di vederci. Aggiunse Noxir.
E quale sarebbe?
Per farla breve: se qualcuno ti ferisse al cuore, io sarei obbligato a uscire dal tuo corpo per soccorrerti il più in fretta possibile e, in quel caso, sarei visibile agli occhi di chiunque.
Succederebbe qualcosa di particolare se ciò accadesse?
Sì. Se un umano normale vede un drago, succede qualcosa di orribile, qualcosa come... la fine del mondo. Non so esattamente cosa succede, poiché non è mai successo prima, in tutti i secoli dei secoli da quando noi draghi esistiamo. Di questo sono sicuro.
Come fai a esserlo? Hai detto che tra un’apparizione e l’altra voi draghi dormite e dimenticate, quindi, forse è già successo e tu te ne sei semplicemente dimenticato.
No, è impossibile. Perché, altrimenti, io non esisterei, tu non esisteresti, nessun drago e nessun umano esisterebbe. Per farla breve, non esisterebbe più niente.

Dopo questo, restammo entrambi in silenzio, ipnotizzati dalla vista continua dell’orizzonte monotono.
Dopo un po', la noia riavvolse entrambi. Fu Noxir a interrompere nuovamente il silenzio con la stessa domanda: C'è altro che vuoi sapere?
Io mi misi a riflettere con me stesso sulla mia prossima domanda, dimentico del fatto che Noxir poteva sentire ogni mio pensiero. Dunque, cosa potrei mai chiedere di interessante a un drago? Eh eh... accidenti, non avevo mai pensato che un giorno avrei potuto parlare a un simile essere, e tanto meno di farlo in questo modo!
Eppure è così.
Disse Noxir.
Eh? Cosa... Oh! All'improvviso, mi ricordai del nostro legame e del fatto che lui poteva sentire ogni mio pensiero. L'imbarazzo provocò una vampata di calore che mi pervase la parte alta del torace. Ehm... scusa.
E di cosa? Parlare con se stessi non è un crimine.
Rassicurato dalle sue parole, sospirai di sollievo e porsi la mia nuova domanda: La magia esiste?
Certo!
Me la insegnerai?

Noxir rise e disse: La conosci già. Credi che saresti riuscito a creare questo spettacolo senza metà del mio cuore? Alludeva all’infinito cielo di luce attorno a noi. Io ho risvegliato il tuo elemento, ora tu puoi controllare l’aria a tuo piacimento, tutto ciò che ti occorre è un po’ di serenità e concentrazione. Presto sarai persino in grado di controllare il mio elemento: il fuoco.
Allora non è difficile!
Non lo è per niente, ma la magia elementale è solamente metà della magia.
Eh?
Ci sono due tipi di magia: la magia elementale e la magia eterea.
Ma l’etere non esiste!
E chi lo dice? Certo che esiste!
No. Devi essere rimasto un bel po’ indietro nel tempo, perché oggi sappiamo che ciò che anticamente era definito “etere” in realtà è il vuoto!
Non sono nato ieri. Un minimo di cultura su come funziona l’universo ce l’ho anch’io e so benissimo che Aristotele aveva torto: nello spazio non c’è l’etere ma il vuoto assoluto. Tuttavia, l’etere esiste eccome: è ciò di cui sono fatte le idee che prendono forma.
Eh? Non capisco.
È naturale, non è molto facile da capire. Vediamo se riesco a trovare le parole giuste... la magia eterea è, diciamo, l’arte di modellare la realtà attraverso le proprie idee.
Non serve qualcosa come una formula magica, una bacchetta o una lingua strana?

Noxir rise di nuovo. Quelli sono tutti ninnoli inutili che avete inventato voi umani per fare scena e dare una sfumatura più divertente alla magia.
Potrò usarla anche nel mondo reale?
Sì, ma non credo ti convenga. Altrimenti qualcuno potrebbe insospettirsi.
Giusto. Altra domanda: ma tu dovrai stare tutto il tempo dentro di me senza mai poter uscire?
Assolutamente no! Non voglio stare rinchiuso per sempre dentro il tuo cuore, anche se, devo ammetterlo, il tuo è molto comodo. Se facciamo un po’ d’attenzione, potremmo uscire qualche notte per volare in qualche zona disabitata, eh eh eh...
Davvero?!
Davvero.

Però come farò a starti sul dorso se non c’è qualcosa per reggermi quando volerai velocemente?
Non lo so. Mi sa che dovrai inventarti qualcosa, giacché vorrei scoprire i miei nuovi limiti nel volo.

Avevo esaurito le domande, quindi mi distesi sul dorso di Noxir leggermente inclinato verso sinistra, a causa delle punte cervicali, e chiusi gli occhi.
Nell’oscurità del riposo, vedevo chiaramente la calda scia del pensiero Noxir che serpeggiava tra i miei ricordi e li guardava a volte affascinato e a volte disgustato.
Che pace. Fa lo stesso effetto del treno. Pensai.
Senza rendermene conto, i miei pensieri cominciarono a vagare nella mia mente, facendomi ricordare le altre situazioni nelle quali mi ero sentito così.
Piacere, silenzio, nuvole, tranquillità, riposo, sogni... già, sogni... quanti ne ho raccontati a Terry...
Un lampo proveniente dall’aria intorno a noi mi riscosse.
Che cos’è successo?
L’infinita luce attorno a me e Noxir era sparita, lasciando spazio all’oscurità.
La tua magia è terminata.
C’è un limite di tempo?
No, semplicemente hai interrotto il flusso d’idee o l’hai rimpiazzato con un altro. A cosa stavi pensando?
Al piacere di volare sulle ali di un drago e... Terry!
Chi è Teresa?
È mia cugina, ma non solo, lei è l’unica persona che...
Non feci in tempo a cominciare la lunga spiegazione che l’immagine di Teresa apparve nella mia mente e sbarrò la strada al pensiero di Noxir.
È questa ragazza? Chiese lui.
Sì.
Posso esaminare i ricordi che hai di lei?
Certo.

Mentre Noxir esaminava i miei ricordi, io li rivivevo insieme a lui.
Teresa, da tutti soprannominata Terry, era la persona alla quale tenevo di più in tutto il mondo. Era l’unica persona che in dodici anni di vita avesse mai condiviso la sua fantasia con me. Mi aveva sempre capito, fino in fondo, anche dove mia mamma non era potuta arrivare. Avevamo creato tante storie insieme sul gelso di casa sua a Udine. L’ultima volta che ero stato a trovarla era stato tre anni prima.
Ultimamente pensavo sempre più spesso a lei, e quando lo facevo mi mettevo a piangere.
Senza accorgermene, anche in quel momento stavo piangendo.
Ma che... che cos’è?! Questa emozione... sento freddo... Noxir sembrava spaventato dalla mia tristezza.
Si chiama tristezza, è una delle innumerevoli emozioni umane. Una delle peggiori.
Spiegai io.
Ah... giusto, la tristezza, ma aspetta... come può il ricordo di una persona che ami farti provare tristezza?
Perché è molto tempo che non la vedo.
Spero che tu la possa rivedere presto.
Lo spero anch’io.

Noxir sospirò e sentii della malinconia provenire da lui. Un tempo conoscevo tutte le emozioni umane, la vostra storia, le vostre usanze... e ora devo ricominciare da zero.
Ma ora hai me come esempio, dunque non dovresti avere molte difficoltà, giusto?
No, in effetti non dovrei metterci molto a capire te, Jacopo Medeossi, ma dubito fortemente che tu conosca molto della tua razza.
Per qualche motivo, il mio nome, pronunciato da lui e in quel modo, mi diede una terribile sensazione d’inferiorità rispetto a lui: così forte, così grande, così maestoso... mentre io: un semplice ragazzo quattordicenne...
Dai tuoi ricordi, sembra che lei abbia una fantasia paragonabile alla tua, dunque molto probabilmente anche Teresa ha un drago.
Riprese Noxir.
Allora potremo andare a trovarla!
No. Da quello che vedo qui, lei abita molto lontano rispetto a dove abiti tu, inoltre dovremmo attraversare un territorio disseminato di umani per raggiungerla. Io sarò pur invisibile, ma tu no, ricordatelo sempre.

Imprecai mentalmente, anche ora che potevo arrivare a Teresa, qualcosa me lo impediva.
Noxir, finalmente, esclamò: La vedo! Là c’è la fine!
Aguzzai la vista, ma non notai niente di diverso nel mio campo visivo. Io non vedo niente a parte la strada.
Perché io ho una vista molto più acuta della tua.
Ci vollero altri cinque minuti per arrivare alla fine della strada.
Sfortunatamente, dove la strada finiva, c’era soltanto il vuoto.
Che cosa significa?! Esclamai.
Aspetta, qualcosa c’è. Disse Noxir e cominciò a scendere.
Che cosa fai?! Non c’è niente! Ma mi dovetti ricredere quando le grandi zampe dorate di Noxir si appoggiarono su un piano invisibile al livello della strada.
Io non credetti ai miei occhi. Ma... com’è possibile?!
È un piano d’aria: aria compattata dalla magia fino a diventare dura come la pietra.

Scesi da Noxir e rimasi stupito da come l’aria rimase immobile sotto i miei piedi. Dobbiamo andare avanti?
Ovvio, ma prima di questo, se permetti vorrei migliorare un po’ le tue capacità fisiche. Avendo solo quattordici anni, non hai molte speranze e ti stancheresti ogni due secondi.
Hai ragione... va bene.

Lui tese un artiglio verso di me e io tesi la mano destra verso il suo artiglio.
Al contatto avvertii una piccola scossa e mi sentii forte come non mai.
Mi guardai le gambe, chiedendomi fin dove arrivassero le loro nuove capacità, e sentii il bisogno di provare quella nuova forza. Le piegai e saltai, ma non avrei mai immaginato di poter arrivare così in alto. A occhio e croce, direi che il mio salto fu di più o meno quattro metri.
Arrivato all’apice del salto, non tornai giù, ma rimasi sospeso in aria.
Preso dal panico, cominciai ad agitarmi come un gatto in gabbia, poi all'improvviso, caddi. Noxir si affrettò a mettere il muso sotto di me.
L’urto, seppure attutito, mi fece perdere la vista per un momento.
Quando mi ripresi, vidi un grande occhio celeste posato sul mio volto, poi Noxir sbatté le palpebre e l’occhio davanti a me divenne verde.
Io sorrisi. Ho sempre sognato di vedere qualcuno con gli occhi diversi, ma mai avrei immaginato di vederli in un drago.
Una piega sotto a quell'occhio mi fece capire che anche lui stava sorridendo. Io ho gli occhi diversi perché a te piace così. Io sono esattamente come tu mi hai sempre immaginato. Sono ormai tre anni che io esisto dentro di te, anche se non te ne sei mai reso conto.
Io protesi le mani verso la zona tra un occhio e l'altro e gli accarezzai con entrambe le mani la pelle ricoperta di squame.
I suoi occhi si chiusero, mentre le sue squame tremarono e si sollevarono leggermente. Quanto sei dolce... però adesso non è il momento. Preparati, tra poco ci sarà da combattere. Disse e riaprì gli occhi.
Io scesi con un balzo dal suo muso. I nostri avversari sanno usare la magia?
Immagino di sì, ma noi abbiamo un vantaggio: la maggior parte dei maghi non usa le proprie idee per praticare la magia. I maghi passano il loro tempo a rubare le idee da ragazzi come te, poiché molti di loro hanno perso quella capacità da lungo tempo. I loro poteri non sono grandi come i nostri, poiché le idee altrui non si possono mai comprendere interamente, e quindi non si possono sfruttare al massimo delle loro capacità.
Maghi? Da dove vengono? E come sono finiti qui?
Io li chiamo maghi solamente per convenzione, ma è più corretto definirli dei Drakore mancati.
Perché?
Quando un Drakore viene ucciso durante il suo transito attraverso il Mondo di Mezzo, in altre parole questo posto, il drago gli viene strappato e rimesso a dormire, in attesa del prossimo risveglio. Il Drakore, invece, ritorna nel tuo mondo come un semplice umano, ma è ancora in grado di usare la magia eterea e quella riguardante il proprio elemento, anche se per poco tempo, un mese circa. C’è un solo modo per prolungare tale tempo: rubare le idee e l’energia ai Drakore “affermati”.
Hai ripetuto più volte la parola Drakore, ma che cos'è?
Significa “cuore di drago”, è un appellativo che è stato creato per le persone come te, in una delle innumerevoli lingue che voi umani avete inventato e della quale non ricordo il nome.
Ok, ma come hanno fatto questi “Drakore mancati” a finire qui?
Adesso te lo dico: sono finiti qui perché un Drakore li ha scoperti e li ha fatti fuori. Quando ciò succede, essi finiscono qui, con lo scopo di divertire i novellini come me e te.
Interessante... hanno per caso un qualche punto debole, o una contro-magia semplice, ma efficace, da poter usare a nostro vantaggio?
Beh, la contro-magia più semplice e che funziona sempre è la negazione, che è un’idea, e dunque appartiene alla magia eterea. L’unica difficoltà che potresti incontrare è l’energia che richiede, ma, siccome è una delle idee più elementari, ne richiede veramente poca. Una delle cose nella quale dovrai esercitarti parecchio, nonostante tu la sappia già fare, è l’unione della magia elementale ed eterea, così presto sarai in grado di creare piani d'aria come quello su cui siamo adesso.
Detto questo, Noxir si stiracchiò e volse lo sguardo verso l'orizzonte infinito davanti a noi. Adesso basta parlare, dobbiamo proprio andare.
Va bene, andiamo.
Pensai alle spade e loro apparvero nelle loro rispettive mani.
Molto pratico. Pensai e cominciai a camminare sul piano, seguito a ruota da Noxir.
24/02/2010 22:51
 
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********Moderatore********
LORD
Bravissimo, Nexim!! [SM=x1263932]

Anzi, sai che cosa ti dico? In questi giorni tenterò di prendere esempio da te, questa settimana ho dovuto dare degli esami e non avuto proprio il tempo per scrivere, ma adesso che ho un paio di settimane di respiro, prima della prossima inesorabile 'interrogazione', cercherò di rimettermi all'opera anch'io... [SM=g27988]



"All along, I was searching for my Lenore,
In the words of Mr. Edgar Allan Poe.
Now I'm sober and nevermore
Will the raven come to bother me at home?"

Kremlin dusk - Utada Hikaru

"Tu credi che questo sia stato difficile? La verità ti spezzerà il cuore."
(Lady Sophie di Nessun Dove - "La Chiave del Caos")







24/02/2010 23:06
 
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Grazie, tu sì che mi fai venire voglia di immegermi nel mondo dei sogni e di perdermi nei suoi meandri. [SM=x1264002]
Mi raccomando, [SM=x1263957] non trascurare lo studio. [SM=x1263964] Io posso permettermi di scrivere spesso perchè ho 14 anni e perchè questa settimana sono in vacanza [SM=x1263923] , ma tu fai attenzione alle implacabili e spietate magie degli stregoni scolastici. [SM=x1263972]
[Modificato da Nexim_cuore_di_drago 06/03/2010 17:35]
25/02/2010 00:36
 
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Abitante di AURENDOR
PAGGIO
[SM=x1263945] Bravo Nexim!! [SM=x1263945]

Cavolo, mi sono distrutta gli occhi [SM=x1263931] , ma ho voluto assolutamente leggere tutti e quattro i capitoli!!

Allora, l'atmosfera è davvero interessante, fa venire voglia di sapere cosa succederà più avanti, direi che con un'aggiustatina di forma qua e là è un ottimo inizio!!
A me generalmente le descrizioni dei vari ambienti piacciono, perchè mi aiutano ad "immergermi" nella storia...

Guarda, fidati, non sei l'unico ad essere considerato un po' svitato, ma ben venga!
Già la vita è abbastanza seria di per sè, poi se ci prendiamo troppo sul serio anche noi qui non se ne viene più fuori!!

[SM=x1263966] W i fantasiosi e gli svitati!! [SM=x1263923]

PS: Io ci butterei il tuo "amico" Dario nel cestino, magari con il mio astuccio in bocca [SM=x1263939]....
25/02/2010 01:05
 
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[SM=x1263934] Sei appena arrivata, ti ho appena conosciuta... e mi stai già simpatica! [SM=x1263937]
Hai completamente, assolutamente, infinitamente ragione: Un brindisi agli svitati e ai pazzi! [SM=x1263921]
E poi, se la pazzia è questa, allora non è poi così male come tutti dicono, no? [SM=x1263960]
Riguardo al P.S.... Quando vuoi, io sono pronto. [SM=x1263951]
[Modificato da Nexim_cuore_di_drago 28/02/2010 23:47]
28/02/2010 22:53
 
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Uffa, quanto c'è voluto... [SM=x1263976] e sta sera mi è pure venuto il classico maldipancia! [SM=x1263982] Oh beh, almeno sono in grado di offrivi il prossimo capitolo... tutto qui? Eh no! [SM=x1263955] Oltre al quinto qui c'è anche il sesto! [SM=x1263945]




Viaggio sul piano d’aria




Camminavamo da un po’ senza aver incontrato nessuno, quando davanti a noi si aprì una fessura oscura nell’aria alta più o meno due metri. Da quella fessura uscì una persona con un cappotto blu notte.
Essa rimase un po’ lì a guardarci, il volto coperto da un cappuccio dello stesso colore del vestito. Poi si tirò giù il cappuccio e io urlai.
Il suo volto era quello di un cadavere in putrefazione. In alcuni punti si poteva persino vedere il teschio bianco sporco, ma il resto era ricoperto di carne violacea e nera.
Aveva solo l’occhio sinistro, mentre al posto di quello destro c’era un buco.
É... a dir poco disgustoso. Commentai facendo una smorfia.
Il mago fece un ghigno, come se avesse intuito la mia impressione su di lui, tese la sua mano destra scheletrica verso di me e una radice nodosa uscì dal suo palmo.
Il panico mi strinse in una morsa gelida.
Dovevo pensare in fretta, ma la paura bloccava il mio corpo come la mia mente. Intanto, la radice si allungava sempre più minacciosamente verso la mia faccia.
A un certo punto, qualcosa mi fece capire che non dovevo permetterlo.
No, negazione, ostacolo, impossibilità, divieto, rifiuto, protezione, barriera, scudo!
Spalancai le braccia e la radice si sbriciolò a qualche centimetro dalla mia faccia.
Molto bene, ora finiscilo. Noxir non avrebbe potuto esprimersi meglio.
Mi lanciai verso il mago che indietreggiò spaventato e lo colpii sul torace con un fendente orizzontale da parte di entrambe le spade, ruotai su me stesso in modo da lacerare il suo fianco sinistro e dallo strappo nella tunica caddero alcune ossa. Infine, piegai le gambe, portai indietro le braccia e colpii il mago con entrambe le spade, scaraventandolo in alto.
Non mi era costato molta fatica, vista la mia nuova forza e la leggerezza del mago scheletrico.
La lentezza con la quale il mago scendeva mi fece venire voglia di chiudere le cose senza aspettare che lui ritoccasse il piano, così saltai fino a raggiungerlo e cominciai a colpire ciò che rimaneva del cadavere con una serie di colpi piuttosto casuali.
Per finire, girai su me stesso e colpii il mago con il lato della spada dalla lama bianca e rossa, così da spedirlo ancora più in alto. Noxir, che fino a quel momento era rimasto sul piano d’aria a guardare, con un balzo mi superò, arrivò allo scheletro del mago e lo incenerì con una fiammata di colore arancione. Non rimase niente del mago.
Avevamo vinto.
Sentii il bisogno di gridare il nostro trionfo a tutti coloro che, più avanti, avrebbero osato sbarrarci la strada e che c'aspettavano, ma dalla bocca non uscì un grido, bensì un ruggito, molto simile a quello di Noxir. Sorpreso e anche parecchio imbarazzato, mi misi le mani sulla bocca e guardai il mio drago. Lui mi sorrise, mostrando le lunghe zanne bianche.
Dalla sua coscienza sentii arrivare uno strano calore, quasi di divertimento, cosa che mi fece dedurre che lui ne sapeva qualcosa, così gli chiesi: Perché mi è uscito questo ruggito al posto del mio solito grido?
Eh eh, dovevo pur darti qualcosa in cambio di metà del tuo cuore, no? Presto sarai persino capace di parlare con la mia voce. Non sei contento?
Provai a immaginarmi a parlare con quella sua voce da brividi. Non so se mi piacerà, comunque... l’abbiamo proprio disintegrato, eh?
Eccome!
È morto?
No, rimarrà qui per l’eternità, senza mai avere la pace di una morte e il fastidio di una vita: è questa la punizione per chi schiavizza le idee altrui.
Deve essere una punizione terribile, come i crimini che ha commesso...

Mentre riflettevo su quei pensieri, mi accorsi di essere ancora sospeso parecchio al di sopra del piano d’aria. Ebbi paura e, come l’altra volta, caddi.
«Noxiiiiiiiiiiiiir!» Nonostante il mio grido, il drago rimase lì dov’era, il suo unico movimento era quello delle grandi ali dorate.
Me la dovevo cavare da solo. Cercai di rilassarmi e, quando fui a pochi centimetri dal piano, la mia caduta si arrestò per poi farmi atterrare dolcemente.
Sospirai di sollievo e rimasi per un po' disteso, a guardare l’oscurità attorno al piano.
Noxir scese a terra. Te la sei cavata bene per la prima volta.
Io risi. Grazie, ma ho rischiato di sfracellarmi sul piano.
Andiamo, molti altri maghi ci aspettano.

Io balzai in piedi, mi diedi una scrollata e ricominciammo a camminare, più spediti rispetto a prima.
Incontrammo molti altri maghi sul nostro cammino, la maggior parte dei quali erano solo scheletri, senza nemmeno più un briciolo di carne sulle ossa.
Uniti, riuscimmo a batterli tutti.
Tra un incontro e l’altro facemmo della pause, durante nelle quali mi esercitai a restare in aria dopo un salto. Noxir aveva definito tale capacità come “levitazione”. Fin da subito mi sembrò impossibile: era come stare in piedi su un filo oscillante, con l’oppressione della costante possibilità possibilità di cadere.
Qualsiasi pensiero che non sia riguardo al concetto d'equilibrio, o che vi si allontani, ti farà cadere. Mi aveva detto Noxir.
Leggerezza, piuma, gravità... no, niente gravità! Adesso dov’ero rimasto... euh... no, non ci siamo. E caddi un’altra volta.
Il drago dorato sospirò e due volute di fumo gli uscirono dalle narici. Peccato! C’eri quasi ‘sta volta! Umm... se non riesci a concentrarti sull'equilibrio, allora... prova a pensare a qualcosa di rilassante, o che ti faccia riflettere.
Io distolsi un momento lo sguardo da lui e guardai in alto. Euh... qualcosa di rilassante? Vediamo... la musica vale?
Dipende... non mi ricordo nulla della vostra musica. Aspetta, provo a cercare nella tua memoria qualcosa di appropriato.
Ancora una volta, la sua mente che curiosava nella mia mi fece il solletico. Umm... questa dovrebbe andare bene.
La musica che aveva trovato era un’altra della canzoni di “Kingdom Hearts 358/2 days” (composta sempre da Yoko Shimomura): “Roxas theme”.
Noxir aveva scelto bene, infatti, quella musica mi dava sempre la sensazione di trovarmi in un luogo tiepido, calmo, dolce e sicuro.
Insieme a quei pensieri, un pianoforte e un flauto cominciarono a suonare dentro di me, in qualche posto irraggiungibile, e quella dolce melodia mi pervase, come una macchia d’inchiostro nero su un foglio bianco.
Le mie gambe si sollevarono dal piano come piume sospinte da un getto d’aria calda.
«Ce l’ho fatta!» Esclamai a voce alta.
Ssst! Non urlare, altrimenti ci sentono! Mi rimproverò Noxir.
Oops, scusa. Tuttavia... ce l’ho fatta!
Vedo, ora prova a levitare innalzandoti.

Non mi fu difficile, bastò non pensare alla gravità. Cominciai a salire lentamente verso l’alto con gli occhi chiusi, quando una corrente d’aria calda mi spinse. Era Noxir, che si era messo disteso con la pancia all’aria sotto di me e si divertiva a farmi galleggiare in alto soffiando.
Sei leggero come una piuma.
Io risi. Non sono io che sono leggero, ma tu che potresti spazzare via una casa con un solo soffio.
Noxir annuì compiaciuto. Ora che conosci abbastanza bene la levitazione, non vorresti provare a volare con le tue ali?
Eh? Con le mie ali? Che vuoi dire?
Esattamente quello che ho detto: vuoi provare a volare con le tue ali?
Come se ce le avessi...
Oh sì che ce le hai.
E dove, di grazia?
Dentro la tua schiena.
Sé...
Non ti sto prendendo in giro.
E allora dimmi come si fa a farle venire fuori! Quando le vedrò ti crederò.
D'accordo, l'hai voluto tu. Ti consiglio di chiudere gli occhi e di partire dal concetto “ali”.

Noxir smise di soffiare e io cominciai a precipitare.
Sentii una scarica fredda salirmi lungo la nuca, ma non feci niente, non urlai nemmeno, perché era già finita e sapevo che Noxir non avrebbe nemmeno mosso un artiglio per aiutarmi.
I miei pensieri si riversarono tutti insieme sui pochi e recenti ricordi che avevo di lui, fino a quando mi ricordai del suo consiglio.
Chiusi gli occhi e lasciai scorrere i miei pensieri attorno al concetto “ali”. Ali, volare, altezza, libertà, cielo, rapidità... un angelo! Riaprii gli occhi di scatto e qualcosa si staccò dalla mia schiena, facendomi un male tremendo.
Da sopra la spalla, vidi che due grandi ali bianche e piumate spuntavano dalla mia schiena, ma erano inzuppate del sangue che sgorgava dalle ferite attorno ai punti d’inizio delle ali, tra le scapole e la spina dorsale, così come la mia felpa grigia, la maglietta bianca di sotto e la canottiera, anch'essa bianca.
Passato quell'attimo di puro stupore, mi accorsi che stavo ancora precipitando. Ciò, unito al dolore, mi fece venire le lacrime agli occhi. Fortunatamente, Noxir riprese a soffiare e la mia caduta si arrestò. Vedi? Non è stato così difficile, no? Ora, però, togliti i vestiti, presto! Mi disse lui in tono affettuoso e cominciò a farmi scendere lentamente, riducendo a poco a poco l'intensità del suo soffio.
Mentre il cotone dei vestiti strisciava lentamente sulle ferite, esse me ne fecero vedere di tutti i colori e di tutti i dolori.
Entro poco, la mia schiena fu fradicia di sangue.
Il sangue cominciò a gocciolare sul piano, evidenziandone la superficie invisibile.
Una volta toccato il piano, ero sul punto di svenire.
Mi volsi a fatica verso il drago dorato e lo implorai: Ti prego, dimmi che hai un modo per fermare quest’orrore...
Certo che ce l’ho! Però non ti devi muovere. Noxir mi toccò appena la schiena con la punta del suo muso e il fiume si arrestò, ma non solo: il sangue che un momento prima scorreva su di me, ritornò sul suo stesso percorso e rientrò lentamente dentro la ferita, che alla fine si rimarginò attorno alla base delle ali. Sembrò quasi come se il tempo fosse andato indietro. Ma non fu indolore. Malgrado Noxir mi avesse appena toccato col muso, mentre il sangue rientrava mi sembrava di sentire le sue fiamme direttamente sulla mia schiena e dovetti tenere i denti stretti per impedirmi di urlare o muovermi, azioni che avrebbero arrestato il processo.
Ecco fatto.
Appena Noxir disse quelle parole, le mie braccia scattarono indietro e le mie mani si misero a tastare freneticamente la schiena, alla ricerca di anche la più piccola imperfezione o scalfittura della pelle, senza mai trovarla.
Miracolo! È come se la ferita non ci fosse mai stata!
Ma che miracolo... non ci vuole niente per curare una ferita così piccola.

Presi l'ala sinistra per l'ultima penna e la accarezzai. La sensazione che mi comunicò il tatto fu parecchio strana: era come se stessi accarezzando una folata di vento tiepido.
Allora? Adesso mi credi? Chiese Noxir.
Io lasciai andare l'ala e lo guardai negli occhi. Se ciò che i miei sensi mi mostrano corrisponde al vero, allora ti credo. Sei sicuro di non esserti stancato troppo?
Figurati, te l'ho detto: non mi ci è voluto niente.

Io gli avrei anche creduto, se non avessi abbassato lo sguardo e notato qualcosa d'insolito nelle sue zampe. E allora mi spieghi come mai le zampe ti tremano?
Lui abbassò lo sguardo incredulo e quando vide le sue possenti zampe tremare in quel modo ridicolo, emise un ringhio imbarazzato e la sua coda frustò l'aria. D'accordo, FORSE mi sono stancato un pochino, ma non c'è motivo di preoccuparsi. Piuttosto, prova a muovere le ali e dimmi come ti senti.
Io feci come aveva detto.
È strano...
Cosa è strano?
Mi sento come se ce le avessi sempre avute.
E' normale. Ti svelo un segreto: l’umanità e sul punto di un’altra evoluzione, lo sapevi? Tra qualche tempo, gli esseri umani avranno le ali. L’evoluzione richiede sempre molte e lunghe preparazioni, dunque i cervelli della vostra generazione sono già perfettamente abituati ad avere le ali come parti addizionali del corpo. Ciò che hai appena fatto per il momento è un privilegio riservato ai Drakore con controllo sull’aria, ma presto sarà una capacità comune a tutti gli esseri umani.

Provai a immaginare quel futuro, con gente che non viaggia più in auto, ma con le proprie ali. Figo...
L’unica cosa che ti manca è un po’ di esercizio pratico. A quello ci penso io. Per prima cosa distendi le ali più che puoi.

Nel frattempo mi ero rimesso i vestiti, facendo passare le ali per gli strappi, poi le distesi più che potevo e Noxir si mise a studiarle.
A occhio e croce, direi che la tua apertura alare massima è di circa due metri e mezzo. Bene. Prendi la rincorsa con le ali chiuse, spalancale all’ultimo momento e scatta in avanti verso l’alto, dai un paio di colpetti con le ali e poi usa l’immaginazione.
Tutto qui?
Per il momento sì, ma non credere che sia facile.

Io sorrisi, mi voltai dall'altra parte e feci un gran sospiro per rilassare il mio entusiasmo, anche se con scarso successo. L'idea di poter volare era così eccitante che mi faceva tremare.
Presi la rincorsa, ...voglio scoprire com’è..., presi a correre, ...volare con le proprie ali..., spalancai di colpo le ali bianche e piumate, ...ci sono quasi..., saltai, ...sì!..., e ricaddi sul piano come un sacco di patate.
Dopo essermi rialzato e massaggiato un po' dappertutto, mi voltai verso Noxir e, quasi come se fosse colpa sua, sbottai: Cos'ho sbagliato?!
I colpi d’ali prima del salto.
Oops... me ne sono dimenticato.
Riprova.

Andammo avanti così per un quarto d’ora, siccome una volta non prendevo abbastanza rincorsa, una volta saltavo male, una volta i colpi d’ala mi sbilanciavano e così via. Il risultato? Finivo sempre lungo disteso sul piano, a volte prendendo delle belle botte in faccia o sul didietro.
Alla fine ci riuscii. Avevo saltato correttamente, aperto le ali al momento giusto e mi ero dato la spinta necessaria.
Da quel momento, non ebbi più alcuna voglia di toccare terra. Se volare sulle ali di Noxir mi era sembrato magnifico, allora volare con le mie proprie ali lo era mille volte di più.
Sfrecciavo nell'oscurità davanti a me, incurante del pericolo onnipresente, così... felice di poter finalmente usare al meglio le due meraviglie che spuntavano dalla mia schiena, quando Noxir mi chiamò. Bravo, ora però torna indietro.
Ma mi sto divertendo un mondo! Protestai io.
Non siamo al sicuro qui. Se vai troppo lontano, un mago potrebbe spuntare dal nulla e farti fuori in due secondi.
Uffa... va bene.

Girare mi sembrò troppo lento e complicato, dunque virai bruscamente verso l’alto, compiendo un giro della morte che mi portò a volare nella direzione opposta, verso Noxir.
Cominciai a sbattere le ali con tutta la forza consentitami, ma stando ben attento a conservarne un po' per il mio piano. Infatti, quando fui a pochi metri da lui, spalancai le ali all'improvviso e mi arrestai proprio davanti alla punta del suo muso.
Lui restò piacevolmente sorpreso.
Ho fatto progressi! Esclamai sorridendo, orgoglioso delle mie nuove ali.
Non ti vantare troppo, tanto non raggiungerai mai il mio livello nel volo, ah ah!
Non vale! Tu sei un drago!
Non sono solo un semplice drago, grazie a te sono diventato molto di più, i miei poteri vanno molto oltre quelli della maggior parte dei draghi.
Bene, vogliamo arrivare alla fine di 'sta Strada?
Certo. Sali, ti porto io per un pezzo. Più avanti è sicuro, non sento nessuna presenza.
Evvai!
Saltai così in alto da raggiungere la sua testa, là diedi un paio di colpi d'ala per arrivare sopra il solito spazio tra le due punte cervicali, vi discesi e mi misi comodo, piegando le ali dietro la schiena.
Noxir si librò in volo e ricominciò a guardare i miei ricordi.
Non passò molto tempo prima che gli capitasse di imbattersi nei ricordi di Aristeo e Andrea. Sentì subito che erano due persone davvero importanti per me e quindi si soffermò parecchio su quelle immagini, esaminandole nei minimi dettagli.
Sembri molto legato a questi due, nonostante tu li conosca solo da un anno e mezzo. Disse infine.
Sono gli unici che mi vedono per come sono e che sanno apprezzarmi come per ciò che sono. Inoltre, abbiamo molte cose in comune.
Anche la fantasia?
Assolutamente.
Allora ho proprio voglia di conoscerli, loro e i loro draghi.
Come il loro draghi? Pensi che siano anche loro dei Drakore?
Garantito. Pensaci: si comportano diversamente da qualche tempo?
Beh... sì. Entrambi. Normalmente sono dei gran chiacchieroni, come me, ma ultimamente non fanno altro che stare con lo sguardo fisso nel vuoto in classe...
Come facevi tu.
Vero.

Sospirai, di colpo la mia vita era cambiata in ciò che avevo sempre desiderato e ora non avevo idea di cosa farne. Mi distesi come prima e il silenzio mi avvolse.
Entrai in una specie di dormiveglia, durante il quale il tempo si fermò, per poi riprendere il suo corso quando meno me lo aspettai. A un certo punto, qualcosa nella mia mente mi obbligò a svegliarmi e a guardare dritto sull'orizzonte.
C'era qualcosa di diverso, non sapevo cosa, ma qualcosa c'era.
Anche Noxir se n'era accorto e ancora prima che la domanda: che c'è là in fondo? Uscisse dalla mia bocca, lui diede la risposta: E' la fine, quella vera.
Siamo arrivati alla fine della Strada?
Sì, ma non credere che una volta che l'avremo raggiunta sarà tutto finito. Umm... e da quanto sento ci sarà da divertirsi. Reggiti.
Detto questo, cominciò a sbattere le ali con più forza per prendere quota e velocità.
Io tesi la mano in avanti, pensai di nuovo alla negazione e la tremenda corrente d’aria che arrivò da davanti fu come tagliata dalla mano, per poi passarmi di lato.
All'improvviso, qualcosa dentro di me mi disse che in ciò che stavo facendo c'era qualcosa che mi sfuggiva, così rimasi a osservare il dorso ossuto e leggermente screpolato della mano, fino a quando mi resi conto di aver trovato la soluzione al problema di come restare sul dorso di Noxir quando lui avrebbe avuto voglia di volare al limite delle sue capacità.
Senti un po', Lo apostrofai adesso che ci penso, potrei fare così nel mio mondo, quando voleremo in qualche posto isolato e vorrai testare i tuoi limiti.
Ci sei arrivato, finalmente!
Cosa vuoi dire? Oh! Aspetta, non dirmi che... tu lo sapevi già!

Lui rise di gusto. Proprio così.
E allora perché non me l'hai detto?!
Ero curioso di scoprire quanto ci avresti messo a capirlo da solo, e direi che ci sei arrivato abbastanza presto.

Non riuscii a replicare, perché Noxir frenò all'improvviso e io riuscii ad aggrapparmi a stento alla punta davanti a me.
Fai attenzione, cavolo! Mi hai quasi fatto cadere! Sbuffai e mi spostai i capelli dagli occhi, dopodiché mi sporsi leggermente in fuori per vedere cosa c'era sotto di noi e ciò che vidi fu... buio e niente altro. Allora gli chiesi: Non c'è niente qui sotto, perché ti sei fermato?
Aspetta...
Rispose lui, ma dal suo tono era ovvio che non mi stava ascoltando.
Cosa devo aspettare? Dobbiamo andare avanti!
No, siamo arrivati.
Ma qui non...
Sì invece. Il fatto che tu non veda una cosa non vuol dire che essa non ci sia, ricordatelo sempre. Ma se lo vuoi vedere, ti basta creare una scintilla luminosa.
Non ci metterei meno a illuminare nuovamente l’intero cielo?
No, devi conservare le forze, in più, una luce così grande rivelerebbe a chiunque la nostra posizione.
Chi intendi per “chiunque”?
Chiunque ci stia aspettando là sotto, perché non siamo soli.

Lasciai andare la punta cervicale, cercai di rilassarmi e pensai alla luce. L'avevo già fatto, ma questa volta dovevo concentrarla in qualcosa di piccolo.
Una sfera. Pensai, nel momento in cui tesi le braccia in avanti, e dalle mani uscì una pallina luminosa. Non era più grande di una pallina da ping-pong, eppure, da sola fu in grado di illuminare l’intero corpo dorato di Noxir, che a sua volta riflesse quella luce color crema in centinaia di raggi che si diffusero nel buio circostante, rischiarandolo.
Feci sfrecciare quel lume nell’oscurità davanti a noi, fino a quando non illuminò un'enorme catena montuosa, disposta a cerchio intorno a una strana steppa.




Battaglia per la porta




Quella steppa era innaturalmente piatta ed era coperta per intero d’erba secca. Nessun albero, nessuna altura.
Le montagne che la circondavano erano dei picchi appuntiti, spigolosi e irregolari composti di una roccia di colore nero pece.
Scendiamo?
Umm... sì. Sembra tranquillo. Tieniti pronto a ricreare il cielo di luce, potremmo averne bisogno.
Porto la scintilla con noi?
No, lasciala sospesa sopra la steppa, altrimenti quando arriverà il momento di farla esplodere ci accecherà.

Noxir cominciò la discesa piegando le ali, lasciandosi cadere per poi riaprirle all’ultimo momento. Per poco non vomitai. Ugh... è peggio dell’ascensore.
Ascensore?
Una macchina che gli umani hanno inventato per facilitare gli spostamenti in case particolarmente alte.
Dissi mentre mi lasciavo scivolare sul fianco di Noxir.
Una volta che ebbi messo i piedi a terra, le mie gambe non mi ressero e caddi.
Ugh, perché sono caduto?! Provai ad alzarmi, ma le mie gambe non si mossero e cominciarono a formicolarmi. Uh - oh... mi sa che le mie gambe si sono addormentate a forza di restare ferme sul tuo dorso...
Addormentate? Ah ah ah!
Non c’è niente da ridere! Non mi posso muovere!

Noxir rise ancora di più, gettandosi all’indietro e rotolandosi nell’erba secca.
Estremamente imbarazzato, rimasi lì: fermo, ad aspettare che il formicolio passasse.
Una volta che mi fui rimesso in piedi, guardai davanti a noi: niente di strano, soltanto erba, erba e ancora erba. Era tutto ciò che si vedeva nel cerchio di terra visibile grazie alla stella sospesa sopra di noi.
Alzai lo sguardo verso l’alto: a circa venti metri sopra la mia testa c’era quel piccolo lume arancione che risplendeva tranquillo e silenzioso. Era l’unica cosa particolare (oltre a Noxir, che nel frattempo si era rimesso in piedi) in quella steppa monotona. Mi accorsi che inconsapevolmente avevo dispiegato le ali e ora sorridevo.
Vorrei restare qui per sempre... con questa luce... con Noxir... con me stesso...
Davanti a te! Svegliati!

Il ruggito mentale di Noxir mi fece ritornare alla realtà in un modo orribile. Preso da un attacco di panico, strinsi i pugni e le spade apparvero immediatamente nella mie mani con un lampo di luce riflessa e, anche dopo ciò, continuarono a risplendere più del solito.
Mi guardai intorno irrequieto, nonostante sapessi che ciò che cercavo era esattamente davanti a me.
Fu una mossa molto stupida da parte mia, poiché ciò che c’era davanti a noi ne approfittò. Appena in tempo, riuscii a parare la lama che sibilava minacciosa davanti a me incrociando le spade. Alzai lo sguardo e sgranai gli occhi davanti a quella visione. Ciò che mi aveva attaccato aveva una forma assolutamente umana riguardo al corpo (che era coperto da una tunica molto simile a quella dei maghi sul piano d’aria, ma non era blu ‘sta volta: era marrone), ma la faccia... non c’era.
La faccia di quella creatura non esisteva, al posto c’era una superficie del colore della pelle umana. Una superficie piatta, senza nessun tratto o segno particolare: niente bocca, niente naso, niente occhi, niente sopracciglia, niente orecchie e niente capelli. La creatura fece maggiore pressione con la sua spada, ma io riuscii a respingerla per poi gettarmi in avanti e tagliarla sulla pancia con entrambe le spade. La creatura si spezzò a metà per poi diventare polvere.
Cos’era?
Non lo so. Non abbassare la guardia! Guardati intorno: ce ne sono altri.

Tutto attorno a noi si sentivano dei passi veloci, erano di quelle creature e alcune avevano già raggiunto il limite tracciato dalla luce.
Ora! Libera la luce! Mi ordinò il drago d'oro.
Alzai le spade verso il lume arancione facendo in modo che le loro punte s’incrociassero e, com’era già successo, sette raggi di luce bianca partirono da quel punto e colpirono la stella.
Chiudi gli occhi immediatamente! Ruggì Noxir un secondo prima che i raggi toccassero il loro bersaglio.
Anche se avevo chiuso le palpebre in tempo, per un momento tutto divenne bianco.
Quando riaprii gli occhi, mi guardai subito intorno, anche se mi ci volle un po’ per recuperare la vista.
Vidi una miriade di quelle creature che avevano assediato me e Noxir, ma ora erano per terra che si contorcevano. La luce sopra di noi era sparita. Al posto, c’era di nuovo quel cielo infinito di luce color crema.
Cos’è successo? Chiesi disorientato.
La tua luce le ha accecate.
Come ha fatto ad accecarle se non hanno gli occhi?!
Volevo dire che le ha accecate nell’ALTRO senso.
Ciò che dici non ha nessun senso.
Forse per te non ce l’ha, ma per me sì e tanto basta per adesso.
Ora cosa si fa?
La porta è aperta, dobbiamo solo trovarla.
Dove?
In cielo, ovviamente.
A cosa assomiglia?
Cerca l’unico punto d’oscurità in questo spettacolo splendente.
Va bene.
Cominciai a guardare a destra e a sinistra nel cielo e Noxir fece altrettanto, ma alcune creature avevano già cominciato rialzarsi.
Ero stressato e agitato. Noxir provava le mie stesse emozioni, dunque il disagio era più che raddoppiato.
Cinque creature si erano alzate dall’esercito e si stavano facendo strada a calci e spintoni tra le altre, dirette a me.
Nella luce infinita sopra di me non c’era niente di strano, niente di particolare, niente di anche solo lontanamente scuro in quello splendore e lo stress si trasformò in disperazione. Ancora un po' e non avrei avuto più alcuna possibilità d’uscita.
Mi azzardai ad abbassare lo sguardo sulla marea di creature che ci circondavano e fui preso dal terrore nel vedere che le cinque creature erano a meno di dieci metri da me. Strinsi i pugni, ma le spade erano sparite quando avevo cominciato a cercare la porta e ora si rifiutavano di apparire nuovamente.
«Perché?! Perché non apparite stupide spade?!» Nonostante questa e le altre imprecazioni più volgari che seguirono, le mie mani rimasero vuote.
Le cinque creature erano vicinissime, erano una di fianco all’altra e tutte avevano una spada nella mano destra. Ognuna era perfettamente uguale alle altre, non solo nell’aspetto, ma anche nei movimenti.
Salta! Mi ordinò Noxir. SUBITO!
Non me lo feci ripetere due volte. Aprii le ali e saltai con tutte le mie forze.
Dopo una frazione di secondo, sentii un grande spostamento d’aria sotto di me. Mi voltai: Noxir aveva fatto un giro completo su se stesso, sbaragliando con la coda la cinque creature che mi volevano uccidere e molte altre.
Io sospirai di sollievo. Grazie di cuore.
Figurati. Li tengo occupati io, tu cerca la porta.

Annuii e mi voltai di nuovo verso il cielo, ma non mi sarei mai aspettato di vederla sospesa davanti a me, a qualche metro di distanza.
Era un'apertura quadrata alta un po' più di me e dall’altra parte c'era... la mia stanza da letto.
Rimasi per un po’ lì a bocca aperta, sorpreso di non averla vista prima. Sarei rimasto in quello stato per un bel po', se Noxir non mi avesse chiesto: L’hai trovata?
Eh? Ah, sì è qui, proprio davanti a me.
E ALLORA MI SPIEGHI COME MAI NON L’HAI GIÁ ATTRAVERSATA?!
Ah... scusa.
Sbrigati!
Va be, va bene! E tu calmati!

Mi lanciai immediatamente verso quella porta che era la nostra salvezza, ma mi accorsi che qualcosa mi tratteneva per la gamba destra. Guardai in basso, una liana del diametro di almeno venti centimetri era annodata attorno alla mia gamba. La liana partiva da un punto indistinto della massa di creature che stavano sotto di me e cominciò a tirarmi giù.
Io urlai e sbattei le ali furiosamente, ma non servì a niente. Ritornai col pensiero alla mia morte prima che Noxir mi ridesse la vita e mi sembrò di rivedere quel demone: con quel suo ghigno malefico ed enorme sulla sua faccia e quegli occhietti piccoli e sanguigni. Ora stavo rivivendo la stessa situazione, ma questa volta sapevo che non ci sarebbero state altre formalità e nessun accordo di mezzo: l’abisso mi attendeva.
Teresa... mi dispiace. Le lacrime cominciarono a scorrermi sulle guance, avevo le ali stanche ed ero stanco di resistere.
Allora, senza alcun preavviso, la presa sulla mia gamba cessò facendomi perdere per un momento l’equilibrio. Guardai di sotto: un fiume di fuoco arancione scorreva sul campo di battaglia e la sorgente erano le fauci di Noxir.
Quando quell’inferno terminò, Noxir alzò la testa verso l’alto e ruggì talmente forte da far vibrare persino le montagne attorno alla steppa.
Quando abbassò la testa, i nostri occhi si incrociarono. Ora li vedevo chiaramente, come se fossero a dieci centimetri dai miei e un momento dopo, il grande drago dorato era svanito.
Fui nuovamente assalito dal panico, ma una voce da dentro parlò: la voce di Noxir: Vai pure avanti, io sono qui.
Non ci pensai due volte, mi girai e sfrecciai nella porta.
Una volta dentro, sbattei contro qualcosa talmente forte che svenni.
[Modificato da Nexim_cuore_di_drago 07/03/2010 13:26]
04/03/2010 23:28
 
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Il capitolo 5: Viaggio sul Piano D'Aria è a posto [SM=x1263938] e pronto per essere letto! [SM=x1263964]
06/03/2010 15:49
 
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Volevo leggere solo il primo capitolo nuovo [SM=x1263925] ... e invece, prima ancora di rendermene conto, ho finito con il leggerli tutti e due! Scusa, Nexim! [SM=x1263964]

Comunque, non ho avuto assolutamente nessuna difficoltà a seguire la narrazione... [SM=g27988]



"All along, I was searching for my Lenore,
In the words of Mr. Edgar Allan Poe.
Now I'm sober and nevermore
Will the raven come to bother me at home?"

Kremlin dusk - Utada Hikaru

"Tu credi che questo sia stato difficile? La verità ti spezzerà il cuore."
(Lady Sophie di Nessun Dove - "La Chiave del Caos")







06/03/2010 17:31
 
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Ma cosa scusa... [SM=x1263931] mi hai solo fatto un piacere! [SM=x1263937]
P.S. L'avatar che hai adesso è la protagonista di Final Fantasy 13? [SM=x1263974]
[Modificato da Nexim_cuore_di_drago 06/03/2010 17:32]
07/03/2010 13:26
 
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Ora entrambi i capitoli sono a posto! [SM=x1263923]
07/03/2010 21:09
 
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Re:
Nexim_cuore_di_drago, 06/03/2010 17.31:


P.S. L'avatar che hai adesso è la protagonista di Final Fantasy 13? [SM=x1263974]




Esatto! La fantastica Lightining...
Ancora pochi giorni di attesa, e finalmente farò la sua conoscenza!! [SM=x1263923] [SM=x1263960] [SM=x1263961]



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