Ecco qua, in due post separati, i primi due capitoli di un raccontino che sto scrivendo.
In pratica, ci sto lavorando per 'testare' un gruppo di personaggi, per cercare cioè di rendermi conto se riescono a prendermi al punto da convincermi a scrivere su di loro un romanzo più lungo (e possibilmente, più complesso e più serio)...
Avvertenze: perdonate gli eventuali errori di battitura, il tutto è frutto di un paio d'ore di scrittura, potrebbero essercene sparpagliati diversi.
Questo genere di fantasy 'classico' (per così dire) fra l'altro non è nemmeno il mio campo...
Lamia
1
Jade augurò la buona notte ai compagni e si alzò dal tavolo.
Ci aveva riflettuto a lungo, ed era giunta alla conclusione che, di tutte le possibili opzioni a sua disposizione, quella di svignarsela alla chetichella dalla porticina che portava ai dormitori era di gran lunga la più allettante.
“Jedith Amigdala Tonana Malon!”, tuonò una voce.
Il richiamo si levò sul finire dell'ultima nota strascicata di una melodia chiassosa e variopinta, il genere di musica per cui il contado va pazzo, una roba stridente che faceva inarcare le schiene ai gatti e abbaiare i cani legati nei cortili.
Cadde il silenzio, pesante come una pietra tombale franata nel bel mezzo di una notte senza vento.
Quattro o cinque dei rustici avventori del 'Corna di Pollo' si girarono sugli sgabelli, con espressioni vacue; un vecchietto ingobbito diede in una risatina nervosa e sottolineò la fine dell'intermezzo musicale con un catarroso colpetto di tosse.
Jade raggelò.
Lentamente, con tutto il contegno del caso (vale a dire con tutta la regalità frustrata e la sdegnata benevolenza che si potevano simulare avendo addosso un mantello sfilacciato, un corpetto scuro aderente, un paio di stivali da cavallerizza infangati e una tunica di lana che sembrava essere stata preso in prestito dalla barbona avvinazzata del villaggio), Jade si voltò, il mento alto, i lineamenti irrigiti in una smorfia oculatamente infastidita.
“Sì?”
La figura incappucciata che aveva appena scandito il suo nome di nascita completo si alzò da una panca di legno al capo opposto della pittoresca sala comune e le venne incontro. Gli stivali borchiati tonfavano contro le assi del pavimento tarlato, scandendo il ritmo impaziente e pimpante delle falcate della loro proprietaria.
“Come stai, sorellina?”
Una mano dalla carnagione scura salì a scostare un drappo di tessuto dalla fronte; una lucente massa di riccioli corvini baluginò alla vivida luce delle scintille sprigionate dal fuoco.
Jade picchiò il tacco contro la gamba del tavolo alle sue spalle e ostentò un sonoro
sospiro di sufficienza.
“Alexandra Manola Emara Malon”, disse. “Qual buon vento ti porta da queste parti?”
Un risolino ovattato la spinse a voltarsi di scatto.
Fulminò Moran e Mara con lo sguardo, pur non avendo la più pallida idea di quale dei due beceri avesse osato interfenire con la sua cauta uscita sussiegosa.
“Ehm...”, fece il massicco guerriero, sorridendo e grattandosi il dorso irsuto della mano. La cicatrice che gli solcava la guancia sinistra spiccava pallida contro le pelle arrossata del volto, a dimostrazione che, se non altro, lui riusciva ancora a dimostrare il buon senso di sembrare mortificato, una volta beccato a comportarsi in maniera inappropriata.
O forse, ha soltanto bevuto troppo, si corresse Jade, dopo averci riflettuto su per due secondi.
Mara, dal canto suo, si limitò a ricambiare l'occhiata di Jade, con l'angolo del labbro inferiore ripiegato verso l'alto e un sopracciglio inarcato.
Accanto alla giovane cacciatrice, Brett, con le spalle curve e le braccia incrociate, ovviamente non si lasciò sfuggire il minimo fiato.
“Bè, mia cara, io non parlerei esattamente di 'venti favoreli', se fossi nei tuoi panni”, replicò Alex, riprendendo il filo del discorso. Jade colse un inequivocabile bagliore di divertimento avvampare in fondo al catrame che intrideva le vispe pupille della maggiore (e dal look più tisico) delle sue sette sorelle. “Non che ci tenga particolarmente, a fare un'esperienza del genere...”
Istintivamente, Jade si portò una mano alla gola e cominciò ad armeggiare con il fermaglio che le teneva chiuso il mantello.
Alex incalzò: “Si è scatenato un vero e proprio diluvio, là fuori, nel caso in cui tu non te ne fossi accorta!”
Jade sbattè le palpebre.
Nel linguaggio di corte, un gesto del genere avrebbe denotato un moto di contenuta, aggraziata sorpresa; nelle circostanze attuali, Jade udì Alex domandare: “Ti è entrato un bruscolino negli occhi, per caso, sorella?”
Jade avvampò.
“Con tutto il dovuto rispetto, Alexandra cara, non riesco a capire perché mai tu ti sia scomodata a venire fin qui!”, sbottò, al culmine dell'imbarazzo. “Sappiamo tutti quanto poco tu tenga in considerazione i Feudi Occidentali!”
Alex spalancò le braccia.
“Non crederai che mi sia sobbarcata tutta questa fatica soltanto per venire a cercare te, vero, Jedith adorata? Spiegami allora come avrei potuto immaginare che la mia regale sorellina si fosse abbassata a soggiornare in una squallida bettola come questa? Ero persuasa che tu stessi cavalcando sulla via per il sito della corona nascosta di nostro padre, scortata dai tuoi fidi e aristocratici cavalieri, così come ti sei premurata di scrivere, se non erro, a nostra madre, nell'ultima lettera che le hai mandato!”
Ai margini del campo visivo di Jade (parzialmente offuscato dall'ondata di lacrime cocenti che le appesantiva le ciglia), si materializzarono le sagome massicce di dieci uomini pesantemente intabarrati.
Da ciascuno di essi, così come dalla stessa Alex, emanava un forte sentore di pioggia, mista a vento, umidità e grandine.
Sì, si disse Jade, tremando.
Quegli individui si portavano addosso l'inequivocabile odore della tempesta.
Raddrizzando le spalle, si affrettò a balbettare: “Per tua informazione, la mia ricerca della corona è giunta ad una svolta che tu non... oh, ma che cosa spreco il fiato a fare?”, si corresse, notando i sogghigni di derisione appena accenati sulle piatte facce dei dieci compari. “Tu, piuttosto!”, riprese, rivolgendosi ad Alex. Socchiuse gli occhi in due strette fessure. “Come osi capitarmi fra i piedi in questo modo?! Non crederai che mi beva la storiella della coincidenza fortuita, spero! Non avrai intenzione di rubarmi gli indizi, per caso?”
Alex grugnì.
“Allora è vero! Sei riuscita a soffiare gli indizi da sotto il naso di Miasara e di Jellina... Come diavolo hai fatto? Papà non ti ha nemmeno concesso di partire accompagnata dai cavalieri dell'Impero, come ha fatto con noialtre!” Accennò con la mano ai tizi alti e ben piazzati schierati alle sue spalle.
Jade occhieggiò nervosamente il più vicino degli uomini. Sotto la tunica indossava una cotta di maglia, nera e lucidata, che gli conferiva l'aspetto di un gigantesco scarafaggio bardato.
“Noto che non hai perso le antiche abitudini, Alex: come al solito, ti preoccupi soltanto di aprire la bocca e di darle fiato, senza pensare. Sappi allora – anche se chiaramente non sono affari tuoi – che non soltanto io dispongo di una scorta favo-lo-sa, ma che sono effettivamente riuscita a surlcassare le nostre sorelle e a impadronirmi degli indizi, e il tutto nella metà del tempo che ci vorebbe a te per insegnare ad uno qualsiasi di questi babbei a soffiarsi il naso!”
“Cosa che, già che ne stiamo parlando, magari farebbero anche bene a imparare quanto prima”, commentò Mara. Fissò uno degli uomini con espressione eloquente, prima di abbozzare una smorfia e riprendere a sorseggiare la sua birra.
Il cavaliere in prima fila strusciò i piedi, a disagio.
Si guardò intorno, con aria imbarazzata; poi ripiegò dietro le fila dei suoi compagni, biascicando qualcosa, e dando modo ad Alex di ripagarlo con un insulto e un vigoroso cenno stizzito.
“Piantala di spacciare frottole, Jade!”
Oh, bene.
Vedo che, se non altro, la sgradevole parte dei convenevoli l'abbiamo conclusa!
“Hai battuto sul tempo quelle ingenue di Miasara e di Jellina per un puro colpo di fortuna, perché non lo ammetti? Tu non hai convinto proprio nessuno a seguirti nella tua “impresa”. Non hai più sostenitori. Nessuno a corte sarebbe ancora disposto a fidarsi di te, e nessun gentiluomo o nobildonna ti vorrebbe mai sul trono. Sei rimasta sola.”
Gli occhi color malva di Jade sprigionarono una serie di lampi inquietanti.
“A chi hai dato della bugiarda, tu, brutta...”
Digrignando i denti, Jade schioccò imperiosamente le dita e incrociò le braccia sul petto, in attesa.
A guardarla in faccia, nemmeno un indovino avrebbe potuto dedurre con quanta ferocia le stesse scalpitando il cuore nel petto, o con quanta sinuosa agitazione le si stessero contorcendo le budella in corpo.
Seduti intorno al loro tavolino di legno, Moran, Brett e Mara si scambiarono un'occhiata.
Il guerriero sembrava seriamente perplesso; Mara formulò con le labbra una frase che molto evidentemente voleva significare (censurando gli improperi): “Non ci penso proprio.”
Brett colse l'occasione per togliersi un invisibile pelucchio dal polsino della camicia.
Dopo una breve pausa, Moran si scrollò nelle spalle, sfilò un coltellino dal cinturone, e cominciò ad usare la punta seghettata dell'arma per ripulirsi i denti dalle incrostazioni.
Jade si schiarì la gola.
“Ah-ehm!”
E, a quel punto, per pura disgrazia, a Brett capitò di intercettare lo sguardo di Blue.
Se ne stava stravaccata contro lo schienale di una sedia a dondolo, a due passi dal caminetto, con la mantellina foderata di pelliccia grigia gettata sulle spalle e le mani mollemente adagiate sui braccioli.
Non dava l'aria di essersi resa conto del piccolo putiferio in atto accanto alla porta.
Ma Brett non si lasciò ingannare.
A Blue non sfuggiva mai niente.
La guardò portarsi alle labbra il boccale colmo di tè alla menta, una bevanda che nell'umile opinione dell'esploratore avrebbe fatto spuntare le gambe e un'espressione sdegnata fra le foglie grasse di una pianta delle paludi, ma di cui la sacerdotessa a capo del loro sparuto gruppetto di 'avventurieri' non riusciva assolutamente a fare a meno.
Blue mosse il capo in un unico, impercettibile cenno del capo.
Brett abbassò le palpebre. Sospirò.
Poi si riscosse e si protese sul tavolo, sfiorando la manica della lurida casacca gialla di Moran con le dita.
“Che c'è?”, gracchiò il guerriero.
Ma Mara aveva già capito.
Seguì lo sguardo di Brett, colse il sorrisetto ammiccante sulle labbra di Blue, ed esalò un gemito.
“Il capo vuole che facciamo il nostro dovere, Mor”, spiegò, rassegnata.
“Che? Nooo! Perché?!”
Ma mentre il gigante scandiva la sua protesta, aveva già spinto indietro il suo sgabello.
Mara fece altrettanto, recuperando il bastone di legno dal suo cantuccio solitario e posando con fare cameratesco una mano sull'avambraccio di Brett.
Insieme, i tre girarono intorno all'orlo del tavolo e si portarono al fianco di Jade.
La principessa Alexandra studiò le loro figure con aria di plateale incredulità.
“Questi?”, ribatté, stupefatta. Poi scoppiò in una risatina chioccia. “Ma questi non sono cavalieri, Jade! Sono mercenari, e della peggior specie direi!”
Un soldato più giovane, alto e magro, aveva preso il posto del primo accanto alla sua padrona. Annuì, unendosi ai commenti beffardi di Alex.
“Già, appartengono a una razza precisa: quella delle nullità assolute!”
Ragliò a sua volta una risata, guardandosi intorno come se si aspettasse uno scoscio di applausi.
Ma l'unico suono che Jade udì risuonare fu uno scricchiolio strano, come di una fascina di vecchi legnetti gettati nel ventre di una stufa accesa.
Voltò appena il capo: la mascella di Moran continuò a rumoreggiare, mentre le sue braccia continuavano ad agitarsi, oscillando nervosamente contro i fianchi.
Mara, invece, riprese a parlare con un'inflessione del tutto indifferente.
“Certe volte mi domando perché, nel nome del cielo, gli idioti di questo mondo siano tutti tanto convinti di possedere questo gran senso dell'umorismo”, osservò. “Uno non dice tanto, ma potrebbe perlomeno farsi una ragione di essere nati scemi, e farci il favore di continuare a tenere il becco chiuso. Risparmiarsi le energie per il pensiero della giornata, insomma.”
“Senti, tu...”, fece per attaccare il tizio, ma un cavaliere più basso, dalla mascella sporgente, lo prevenne.
“Calma, fratello. Ti sta soltanto provocando, non vedi?” Un sorriso gli tese i muscoli del volto, cotto dal sole e squadrato come una cassa di legno. “Scommetto che è piuttosto brava, in questo.”
Moran perse la pazienza.
“Senti un po', grugno di porco”, intervenne,“che cosa vorresti insinuare?” Socchiuse gli occhietti porcini e li piantò addosso al soldato.
Il giovanotto si scrollò nelle spalle, per nulla impressionato dalle titaniche dimensioni del suo interloctore.
“Soltanto che era mi parso di recepire un'offerta nell'atteggiamento della vostra amichetta, quando sono entrato; e di ben altro tenore rispetto a quello sguardo minaccioso che mi sta scoccando adesso, aggiungerei”, rispose, ostentando un sorrisetto di sufficienza.
“Oh, bè, senti, ma questo...”, scattò Moran, ma Mara lo interruppe.
“Non ti scaldare. Ha ragione lui, sai.”
Il guerriero, che aveva già cominciato a portarsi la mano alla spalla, con l'ovvia intenzione di sfoderare il pesante spadone che portava assicurato alla schiena, si fermò di botto.
La cresta di ciuffi variopinti che gli sormontava il capo oscillò contro la lanterna a olio appesa al soffitto.
“Che cosa?!”
“Oh, e falla finita, Moran! Sono due settimane che andiamo avanti e indietro per boschi e paludi selvagge, senza incontrare altro che eremiti cenciosi e vecchi folletti gobbi pieni di pustole! Volevo svagarmi un po', va bene?”
Jade si passò una mano sul volto.
E Alex ricominciò a ridacchiare.
“Una bella compagnia, questa di cui ti sei circondata, sorella!”, si complimentò. “Di sicuro gli individui adatti, per intraprendere una missione che dovrebbe portare all'eventuale possesso del trono di un Impero!”
Il suo compagno mascelluto sottolineò l'osservazione con uno sbuffo sarcastico.
Agganciò il pollice della mano destra al passante del cinturone, facendo del proprio meglio per assumere una posa che risultasse al tempo stesso molto adulta e virile.
“Una ragazzina pallida, un tricheco smilzo e... questo qui fa piuttosto impressione, ve lo riconosco, lady Jedith!”, proseguì il giovane, accennando con il pollice alla volta di Moran. “Grosso come un orso, e con quella brutta faccia larga cattiva, poi... brrr! Che paura!” Scrollò le spalle, nella sardonica parodia di un brivido.
Una corrente d'aria gelida sferzò il collo di Jade, sollevandole le punte dei capelli dalla schiena.
Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che i tre mercenari, senza scambiarsi il minimo segnale, si erano portati in posizione e avevano spianato le armi.