Cosa ne pensate del mio racconto?
Eccomi qui come previsto a mostrarvi un mio racconto. In questo caso si tratta di un giallo, ma solitamente scrivo testi di ogni genere.
Memorie di un'assassina
Molti pensano che la peggior pena per un assassino sia l’ergastolo. Io non sono d’accordo.
La mia storia ha inizio diciassette anni fa; allora ero una giovane donna al primo anno di università che si stava lentamente affacciando alla vita. Avevo tutto ciò che si potesse desiderare: ero bella, intelligente, circondata dall’affetto di amici e famigliari. Mancava solo una cosa: l’amore. In realtà, tutti sapevano che ero innamoratissima di un mio compagno di facoltà, Ian, ma che, per via della mia timidezza, non ero mai riuscita a parlargli dei miei sentimenti.
Fu a causa sua che il mio incubo iniziò: il sole stava pian piano salendo in cielo, illuminando appena i profili delle case, ancora avvolte da una fitta coltre di nebbia. Fu allora che uscii di casa per prendere il treno che mi avrebbe condotta all’università. A metà tragitto,scorsi le sagome di due giovani intenti a scambiarsi un bacio appassionato; inizialmente non li riconobbi per via della foschia, ma quando fui abbastanza vicina da poterne scorgere i lineamenti, rimasi senza fiato: erano Ian e Catherine, la mia migliore amica. La verità mi piombò addosso come un macinio: l’unica persona con la quale ero riuscita ad aprirmi completamente, l’unica alla quale avevo confidato i miei pensieri più intimi mi aveva tradita. Nel modo peggiore. Passai oltre senza più degnarli di uno sguardo, trattenendo a stento le lacrime. Non valeva la pena di piangere. Quella mattina non riuscii a concentrarmi perché, per quanto mi sforzassi, mi tornava sempre alla mente l’immagine di quel bacio, come se una fotografia mi fosse stata appiccicata davanti agli occhi e non se ne volesse più staccare: leggevo, scrivevo, rispondevo alle domande, ma la mia mente era altrove.
Con il passare dei giorni, il dolore si trasformò in rassegnazione: Ian amava la mia migliore amica, dovevo accettarlo. Tutto tornò alla normalità, finché Catherine non decise di rivelarmi il suo “segreto”; quel giorno si offrì di darmi un passaggio in ateneo e dopo qualche minuto di silenzio mi disse:- So che quello che ti dirò non ti farà piacere, ma è giusto che tu lo sappia. Io e Ian ci siamo innamorati e, nonostante la nostra storia sia iniziata da poco, abbiamo deciso di sposarci- Fu come se una ferita invisibile si fosse riaperta: ogni battito del cuore mi costava dolore e un senso di crescente angoscia mi pervase l’animo. Con la voce più ferma che riuscii a trovare risposi:-Ero già a conoscenza di tutto: vi ho visti baciarvi qualche tempo fa. La tua notizia mi ha parecchio stupita, ma sono contenta per voi. Avete già scelto la data delle nozze?-. - Sì, avverranno la prossima primavera;vorresti farmi da testimone? Ci terrei tanto ad averti accanto in un giorno tanto importante-. Accettai, anche se a malincuore: in nome della nostra amicizia non potevo deludere Catherine.
I mesi passarono e finalmente giunse il grande giorno. La chiesa era gremita di amici e famigliari degli sposi e ghirlande di rose bianche ornavano le panche e l’altare. La giovane sposa era bellissima nel suo abito candido ed i suoi occhi risplendevano di gioia, esattamente come quelli del futuro marito. Tutto procedette per il meglio fino al momento del sì, quando uno strano miscuglio di sentimenti mi pervase: rabbia, invidia, desiderio di vendetta? Impossibile stabilirlo. Durò un attimo, ma mi lasciò profondamente scossa. Alla meravigliosa cerimonia seguì un ricco banchetto: c’era di tutto, dalla pasta alle zuppe, dalla carne al pesce, per non parlare della torta nuziale, un capolavoro di panna e fragole.
Finiti i festeggiamenti, i novelli sposi mi chiesero di restare per ringraziarmi dell’aiuto che avevo dato loro per l’organizzazione del matrimonio. Improvvisamente fui schiacciata dalle stesse sensazioni che avevo provato durante la cerimonia nuziale e mi ritrovai con un coltello da cucina in mano senza nemmeno sapere perché. Tutto il rancore e l’invidia che avevo provato fino a quel momento guidarono la mia mano: bastarono due colpi dritti al cuore per ucciderli. Sentii un urlo straziante, poi silenzio.
Quando, tornata lucida, mi resi conto di ciò che avevo fatto, caddi in ginocchio sui due cadaveri, tremante, scossa dai singhiozzi. Avevo stroncato la vita delle due persone che mi stavano più a cuore in quello che avrebbe dovuto essere il giorno più bello della loro vita. Mi meritavo lo stesso fato. Presi la stessa arma con la quale avevo ucciso e mi colpii la gamba all’altezza dell’arteria femorale. Mi sentii felice quando iniziai a perdere i sensi, felice di cadere tra le braccia della morte.
Mi risvegliai qualche settimana più tardi, in un letto d’ospedale. I medici mi dissero che ero stata in coma, ma non mi importava.
La prima domanda che mi posi fu:- Perché Dio mi ha negato la morte? Vuole che paghi il mio crimine in modo ancora peggiore, vivendo nel tormento? -.
Il momento più doloroso fu però l’interrogatorio, quando dovetti ricostruire nei minimi particolari la dinamica del delitto. Al momento del processo non presi nemmeno un avvocato: ero colpevole e volevo il massimo della pena. Mi condannarono all’ergastolo.
Ancora oggi, nonostante sia passato tanto tempo, sento addosso il peso di quelle vite spezzate precocemente per puro egoismo; la ferita che si apre nell’anima non si rimargina più e non si può tornare indietro.
Cosa ve ne pare? Come scrittrice non sono molto esperta
, per cui datemi pure tutti i consigli che volete!!!
[Modificato da Galadriel_19 15/12/2008 21:36]