Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
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Efrawa

Ultimo Aggiornamento: 26/07/2008 19:23
26/07/2008 19:15
 
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Abitante di AURENDOR
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il mio ( terribile ) racconto

Capitolo I

GILLER GALDION XERION ZUGOROV

 

 

 

 

 

 

Correva l’anno 4567 della settima era delle terre di Efrawa.

  Era una notte limpida, una notte d’estate: la luna, rischiarava l’ambiente.  Edor Homnel sedeva a gambe incrociate su di un carro, al suo fianco, Emily Kirt teneva le redini del cavallo: uno stallone dal pelo bianco e marrone.

  L’aria fredda, tagliava la pelle come un coltello affilato e i due viandanti, avevano freddo, molto freddo.  La strada che stavano attraversando, era la via principale del bosco delle lacrime: una strada stretta, tortuosa e ricca di sassi, che facevano sobbalzare il carro.

  Il bosco era silenzioso, aveva un’aspetto inquietante e sporgeva i rami come fossero mani che volessero strangolarti, gli alberi erano alti, imponenti e tenebrosi e nessuna delle loro foglie si muoveva: tutto era immobile, immutato. 

  Da lontano, proveniva il rumore di una cascata, c’è ne erano parecchie al confine con il bosco, sui monti Ujer ed era difficile dire vicino a quale si trovavano i due amici.

Emily fermò il carro, scese da esso e si diresse verso un albero: Edor la seguì.  Emily era bellissima, aveva lunghi capelli neri che le coprivano parte del volto, i suoi occhi verde chiaro, risplendevano alla luce della luna, la bocca sottile e la sua pelle chiara e trasparente come l’acqua: indossava una tunica di colore rosso, con disegni rappresentanti gli animali dei boschi e dei monti, al collo le pendeva una collana di perle, simbolo rappresentante la sua stirpe: le Raster.

  Edor, a differenza di lei, era un uomo dai capelli corti, castani come i suoi occhi, indossava dei pantaloni da cacciatore e una maglia di colore nero con striature argentate: al suo fianco pendeva la spada.

  Edor fece un passo avanti e chiese:

  “Perchè ti sei fermata?” lei si voltò a guardarlo facendo scorgere il suo splendito sorriso,

  “Credo di aver trovato un posto dove dormire e dove poter accendere un fuoco.” Rispose,

  “Vuoi dormire nel bosco delle Lacrime? Ma non sai cosa narrano le leg..” Emily gli mise un dito sulle labbra e disse:

  “Lo stavi per dire tu: leggende, sono solo leggende, null’altro..” Edor annuì, poi disse:

  “D’accordo...e quale sarebbe questo posto?”.

 

L’albero cavo, era un enorme quercia, alta il triplo di Edor, aveva lunghi rami che si innalzavano in alto a formare una forte protezione contro gli agenti atmosferici.  

I due viandanti, entrarono all’interno per vederne le condizioni e, mentre Edor andava a cercare delle foglie per crearsi un giaciglio, Emily accese un fuoco.  Aveva un bel colore e scoppiettava all’interno della Quercia formando intriganti disegni dai colori lucenti.

Edor tornò, mise le foglie in un angolo e si sedette di fronte al fuoco.

  Si fissarono per un momento: la Raster e l’Uomo.

Edor mise una pentola piena d’acqua a bollire, mise alcune spezie e cominciò a mescolare con cura con un bastone di legno, aggiunse ancora qualche erba e aspettò, poi ad un tratto guardò la sua compagna e disse in un sussurro:

  “Chi sei?” la Raster lo fissò sorpresa dalla domanda,

  “Perchè lo vuoi sapere? Non rientra nella missione e non capisco a cosa possa interessarti la mia identità..” disse lei con un sorriso,

  “Il consiglio degli stregoni mi ha ordinato di scortare una donna dalle montagne Ujer fino al palazzo del re Klertos..” fece una pausa, la zuppa di spezie era pronta, prese due scodelle e le riempi, poi, ne porse una alla Raster e riprese:

  “Sta di fatto che non mi hanno detto chi sei, perchè hai bisogno di una scorta, perchè devi andare al palazzo del re..” la guardò dritta negli occhi e sussurrò:

  “Non scorto persone di cui non conosco l’identità, tu..” disse puntandogli un dito contro,

  “...Non sei un eccezzione!” Emily non si scompose,

  “Continuo a non capire l’utilità di tutto cio ma..D’accordo, se proprio vuoi saperlo, credo sia arrivato il momento di presentarmi: Come gia sai il mio nome è Emily Kirt...” si presentò lei,

  “Tanto piacere...” disse Edor “Ma non basta, voglio sapere la risposta alle altre domande e la tua storia..” il fuoco scoppiettò ed Emily cominciò a parlare:

  “Va bene...era il giorno 5 del mese di Afsteler , quel giorno venne da me un consigliere del re Klertos di Fandor, dicendomi che il re richiedeva la mia presenza a palazzo, naturalmente rimasi un po scioccata dalla convocazione, sta di fatto che accettai e il consigliere, di nome Fretow, mi disse di venire il trentesimo giorno del mese di Nuremon...” fece una pausa,

   “Che diavolo vuole il re da te?” chiese sospettoso Edor,

   “Non lo so” Edor cominciò a ridere, bevve un po di zuppa e poi disse:

  “E tu pensi che io ti creda? che creda a questa storia? Mi staresti dicendo che il re ha chiesto la tua convocanzione per un motivo che tu nemmeno conosci? E se le cose stanno cosi, chi sei per meritarti una scorta consigliata dal consiglio degli stregoni?” Edor smise di ridere e divenne serio, posò la scodella si avvicinò alla donna, tanto che i due nasi si toccavano e con tono minaccioso sussurrò:

  “Non so cosa vuole da te il re..” la guardò “..ma tu sei una Raster!”

[Modificato da Elegost94 26/07/2008 19:25]
"E perché voglio che un giorno i grassi locandieri si inchinino davanti a me." (Raistlin Majere)


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"Tu dovrai trovare i cinque" erano queste, le cinque parole incise come tagli una su ognuno dei cinque medaglioni che tintinnavano al fianco del custode del segreto, il possessore che avrebbe dovuto portare a termine la missione più antica del mondo: trovare i cinque.  Trovare le cinque persone in grado di possedere il potere dei medaglioni.  Il cavallo su cui sedeva il custode, era un alto stallone nero, che si stagliava nel cielo mattutino, come una nuvola carica di pioggia, la sua ombra era nera come il buio più totale ed i suoi occhi, verdi come quelli del possessore, sembravano scrutare l'orizzonte in cerca di un obbiettivo.  Il custode, incuteva lo stesso terrore del cavallo, aveva lunghi capelli neri, che gli ricadevano lungo le spalle ed occhi verdi e molto chiari, sulla guancia destra aveva una cicatrice, che andava dall'occhio fino al lato della bocca: la cicatrice procuratagli da un cacciatore di Fandor, la contea ove era nato, la foresta d'argento, un popolo di cacciatori; ai lati del cavallo, i grossi scarponi di cuio di drago marroni lo incitavano al trotto ed i pantaloni, neri anch'essi, s'intonavano alla perfezione; sulla cotta di maglia, nera come quasi il resto dell'abbigliamento, ricadeva il mantello grigio, di seta elfica, resistente anche alle più dure delle armi ed il cappuccio gli copriva la grossa cicatrice del viso.  L'ambiente era silenzioso, era l'alba ed il vento gli sferzava il viso.

  Viaggiava da tempo immemore alla ricerca del suo obiettivo, ma mai si era arreso, perchè nulla al mondo gli importava di più della sua missione, la missione che gli avevano lasciato i suoi genitori, morti nel tentativo di portarla a termine.

  Il sole era ormai alto e le foreste di Fandor lasciavano il passo ad un nuovo paesaggio, la pianura di Ghalak, un immensa distesa erbosa creatasi col passare degli anni, dove il caldo era intenso in qualsiesi momento dell'anno; la pianura faceva un effetto strano sul possessore, il quale ogni volta rimaneva esterefatto del gioco di colori che essa gli proponeva: il giallo si mischiava al verde ed il verde al marrone di alcuni alberi e tutt'attorno, i vivaci colori dei fiori risplendevano alla calda luce del sole: fiori viola e rose rosse, cespugli di fragole e alberi dai frutti più svariati, mele rosse, pere verdi e banane gialle. Tutto risplendeva di una calda atmosfera.

  Il custode scese nei pressi di una sorgente, legò il cavallo ad una enorme quercia e si lavò la faccia logorata dai lunghi anni passati a viaggiare, il cavallo nitrì: non era abituato a stare legato e quella quercia gli metteva timore, cosi grande, cosi impenetrabile, era qualcosa di più grande di lui, si sentiva impotente li, legato con una corda ad un albero mentre attorno a lui succedevano chissà quante cose strane.  Il custode, dopo essersi abbeverato, si sedette su di un tronco tagliato, mentre una colonia di formiche agitata dal suono di passi umani, si disperdeva in tutte le direzioni, un uccello cinguettò da lontano.  Il viaggiatore si guardò attorno, si trovava in una piccola radura, come un oasi in mezzo al deserto; un posto confortevole, ricco di vegetazione, al centro vi era un piccolo laghetto ove il cavallo era riuscito ad arrivare allungando il collo ed ora si stava dissetando; intorno al laghetto ed alla sua sorgente vi erano molte piante che il custode non aveva mai visto ed altre ancora di cui non si ricordava il nome, eppure tutte erano belle, persino le piante carnivore sul lato destro del lago davano una sensazione di armonia; gli alberi, erano per lo più quercie e pini ed insieme andavano a formare una specie di recinto attorno all'uomo, il quale si sentiva al sicuro, seduto su quel tronco cosi comodo, o forse era cosi stanco che anche un masso appuntito gli sarebbe apparso comodo.  Si alzò avviandosi verso il cavallo, Ogher, ricordandosi del giorno in cui suo fratello glielo aveva regalato:

  Era mattina, Giller si alzò dal letto in fretta e furia ed in men che non si dica era gia pronto per andare a giocare, quel giorno, Sabato, non c'era scuola e lui poteva fare cio che gli pareva, in fondo era il suo decimo compleanno!

  Dopo aver fatto colazione si diresse da sua madre, Xerion, per chiedergli se poteva andare a casa di Jim, il suo migliore amico... il ricordo di Jim gli spezzò il cuore ...e sua madre acconsenti, era stata sempre molto generosa con lui, era stata una bella donna, dai capelli biondi e dagl'occhi azzuri, con il sorriso sempre stampato sulla bocca, poi la madre lo strinse forte a se e gli sussurrò all'orecchio "Buon compleanno Gill, fai il bravo da Jim" e poi ancora "Ti voglio bene"... Il custode dovette resistere alle lacrime al ricordo della madre ...Giller si diresse verso l'uscita e quando varcò la soglia si senti chiamare dalla stalla, corse verso di essa e quando entrò cio che trovò fu strabiliante, uno stallone nero dagl'occhi come i suoi era ritto sulle zampe e l'osservava, al suo fianco c'era Jake, suo fratello, il fratello migliore che un ragazzo come Giller avesse mai potuto avere: Jake era alto e massiccio, aveva gli stessi occhi della madre, azzuro chiaro, anzi, era la copia identica della madre ed era altrettanto bello ed altrettanto simpatico, al suo fianco pendeva la spada, la spada di Fandor, che era stata data dal re Fandor in persona alla famiglia di Giller, la famiglia Zugorov, insieme alla tramandazione del segreto, della missione... Al ricordo della spada e della prima veduta di Ogher, gli venne da sorridere, erano le cose più preziose che possedeva, oltre i medaglioni, la spada di Fandor che in quella mattina d'Estate seduto vicino al lago, pendeva al fianco opposto dei medaglioni, e Ogher e il flusso dei ricordi ricominciò a fluttuare ...Jake lo guardò con orgoglio e poi fece cio che aveva fatto precedentemente sua madre, lo strinse forte a se e agurandogli un buon compleanno gli disse indicando Ogher "Questo è per te, il suo nome è Ogher, ma se non ti piace, lo puoi cambiare e..." ma Giller non gli fece nemmeno finire la frase e scoppiando in lacrime si strinse forte al collo del fratello urlandogli contro che Ogher era il regalo più bello che avesse mai ricevuto... il flusso dei pensieri s'interuppe.

"E perché voglio che un giorno i grassi locandieri si inchinino davanti a me." (Raistlin Majere)


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Sadrim si chiese spesso come poteva quella casa sull’albero rimanere in piedi, ma mai e poi mai vi era salito per metterla alla prova, quel giorno però, dovette decidere tra quella prova o essere sbranato dal cane del vecchio Tom, il pastore che abitava accanto a casa sua.  Il cane era molto grosso e bastava un occhiata per capire che non era un tipo socievole, il suo ringhio ed il suo abbaiare avevano radunato una folla di ragazzi che seguiva la fuga del povero Sadrim.

  Il ragazzo aveva quattordici anni, era magro più di quanto avrebbe dovuto esserlo, aveva capelli rossi, come tutti quelli del suo popolo dopo tutto e gli occhi giallo abbagliante, folte sopracciglia e un naso rotto in una caduta da un albero.

  Quel giorno indossava dei pantaloni di cuoio e camminava scalzo, dato che le sue scarpe erano finite distrutte nell’ultimo scontro con il cane del vecchio Tom, il busto era scoperto dato che solo i maggiorenni potevano portare vestiti per coprirsi il busto. Il cane cominciò a correre più forte e all’ultimo secondo, Sadrim decise che non sarebbe salito su quell’albero, estrasse la sua spada di legno e si voltò, seppur piccola, quella era una dimostrazione di coraggio per uno che aveva paura di tutto: la folla urlava il suo nome e tutti i ragazzi assistevano ammirati.  Si confrontarono, il cane, che alla vista del volto del ragazzo aveva smesso di correre e Sadrim, il ragazzo fifone del popolo dei Werent, le isole che componevano l'arcipelago Werent, come il nome del dio sabbia.  Il cane abbaiò e si slanciò contro il suo nemico, il quale scartò l'avversario e saltò su di un albero, il cane si guardò intorno disorientato, chiedendosi dove fosse il bersaglio "Non mi vedi cagnaccio da strapazzo? Non riesci a seguire la mia voce e a scovarmi? Sei davvero cosi stupido come dicono? ops, scusa mi sono ricordato solo ora che i cani non capiscono la lingua degli Werent" lo canzonava Sadrim, poi con un balzo urlo "Sono qui!" e in men che non si dica fu sul cane, gli diede una botta con la spada di legno ed il cane cadde a terra svenuto: la folla era in delirio e mille ovazioni si levavano come una sol voce dai ragazzi affascinanti, poi dai più reconditi recessi del gruppo giunse una voce:

"Largo, largo fatemi passare, che succede qui? Fate largo ho detto!" la folla si sparse lasciando libero un passaggio, che fu attraversato dal vecchio Tom: un tipo grassoccio e dal naso a patata, la testa calva e con molte cicatrici, gli occhi grigi e privi di compassione, si avvicinò al centro del posto, ove si era tenuto lo scontro, e con fare sospettoso si guardò attorno in cerca del responsabile del sangue sul suo cane: "Chi ha fatto questo?" chiese scorbutico,

"Io" rispose Sadrim scendendo da un albero su cui era appena salito,

"Perchè?" chiese a denti stretti,

"Se ci fosse un po di buon senso in quella testa calva, forse capiresti quanto è pericoloso il tuo cane." disse Sadrim pentendosene subito,

"Picolla...CAROGNA!" sibilò il vecchio Tom "Tu!" disse indicando un piccolo bambino sugl'otto anni "occupati del mio cane" e mentre il bambino impaurito si dirigeva verso il suo cane, Sadrim disse:

"No, torna al tuo posto, nessuno di voi toccherà quel cane!" il bambino si bloccò a metà e Tom accigliato si rivolse a Sadrim:

"CO..COSA?" tutti trattenero il respiro,

"Ho detto.." fece Sadrim esitando "HO DETTO CHE NESSUNO TOCCHERA' QUEL CANE!" aveva superato il limite, lo sapeva.

 

L'orecchio gli doleva, come poteva tanta forza essere racchiusa nellla mano di quel vecchio calvo? Arrivarono davanti la porta della sua casa, riccamente adornata di vegetazione: era una bella casa, a Sadrim piaceva, di legno e di pietra.

  Il portone era in ferro battutto e quando il signor Tom vi battè sopra il clangore del metallo risuono tutt'attorno, anche se non poteva vederli, Sadrim era sicuro che molte delle persone che assistevano al combattimento erano nascoste tra i cespugli aspettando l'epilogo di quella piccola avventura, il suono del ferro si disperse: "Chi è?" chiese la voce armoniosa della sorella di Sadrim,

  "Sono io Greta" disse Sadrim, la piccola Greta apri di poco la porta, poi, alla vista del vicino cominciò ad esultare e andò a chiamare la mamma a gran voce:

  "Mamma mamma c'è il signor Tom, c'è il signor Tom mamma!! sembra che Sad ne abbia combinate un altra delle sue" e la voce della madre gli giunse dal piano di sopra:

  "Quel ragazzo sarà la mia rovina! cosa avrà fatto stavolta?!" il vecchio Tom avanzò nell'atrio abbracciando la piccola sorella del ragazzo, il quale si era seduto sul divano senza dire una parola e scrutava le scale pensieroso: l'atrio era spazioso, con due grandi finestre che davano sul giardino, due  librerie cariche di libri erano ai lati di un grosso arco che dava l'accesso ad una piccola stanza con tre porte ed alle scale, da dove provenivano i passi corti e svelti di sua madre, arrivata a metà delle scale inciampò ma per fortuna riusci ad aggrapparsi al corrimano della scala: la madre, Luxer, aveva lunghi capelli biondi, legati in una lunga coda che le ricadeva sulle spalle, gli occhi color giallo come quelli di suo figlio e un naso più lungo del normale sul quale erano appoggiati con delicatezza dei raffinati occhiali lavorati a mano dai foletti di Kretow, la contea dei vulcani.

  Si sederono tutti sui due divanetti presenti nell'atrio, su di uno vi erano Tom e la piccolla Greta e sull'altro sedevano Sadrim e la madre, la quale ruppe il silenzio che era calato nella stanza:

  "Quel'è il problema Tom, cos'ha fatto stavolta?" la domanda sembrò fluttuare nell'aria,

  "Lui ha ferito il mio cane" disse adirato guardando il ragazzo, mentre Greta gli gironzolava attorno felice,

  "E' vero?" chiese la madre rivolta a Sadrim, il quale dopo un lungo silenzio rispose,

  "Si" la madre non si scompose,

  "Perchè?" chiese invece,

  "Mi inseguiva e se non lo avessi fatto mi avrebbe azzanato" rispose Sadrim,

  "Perchè ti inseguiva?" chiese ancora la madre,

  "Perchè tu mi hai detto di riportare un libro al signor Tom ed io lo stavo facendo, seppur con un certo rammarico, ed il suo cane vedendomi nel suo territorio mi è corso appresso" rispose sincero il figlio, la madre si voltò verso il signor Tom che era sbiancato, era sicuro che il ragazzo fosse in torto, perchè secondo lui qualunque cosa facesse Sadrim era sbagliata, Luxer disse:

  "Io credo che mio figlio abbia ragione ad aver ferito il tuo cane, ma immagino che la sua lingua lunga possa averla ferita più di qualunque altra cosa, percio..." disse rivolta a Sadrim "Chiedi scusa" ma il signor Tom se ne stava gia andando e quasi aveva varcato il giardino quando si senti chiamare:

  "Signor Tom!" era Sadrim.  Corse affanato fino al punto in cui si trovava il vecchio pastore e gli disse:

  "Signor Tom, io...io volevo chiederle scusa..sa per la "Testa calva" e il suo "buon senso" ecco..io..bhè, scusi." il signor Tom parve quasi commuoversi per lo sforzo che Sadrim aveva fatto per chiedergli scusa, lo trasse a se e lo abbracciò, dai cespugli si levò un "Ohhh"e il signor Tom gli disse:

  "Il mio cane non ti darà più fastadio, vieni a trovarmi più spesso e lui imparerà a conoscerti, chiamami a gran voce, cosi potrò legarlo, in fondo, non sono cosi malaccio come si pensa" il vecchio sorrise e si voltò per andarsene, ma Sadrim aggiunse.

  "Signor Tom, mia madre ha detto di darle questo" gli porse un libro in seta blu,

  "Oh, Le leggende di Fandor, un bellissimo libro, puoi tenerlo se vuoi" Sadrim sussurò "Grazie".

  Fu l'inizio di una grande amicizia.

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La Raster guardò Edor per un momento, poi, distolse lo sguardo e fece per andare adormire, ma Edor fu più svelto e la bloccò per un braccio:

  “Le Raster vengono chiamate dal re per soli due motivi: o perchè vogliono venire a conoscenza di uno dei segreti antichi, o perchè..” la sua voce si fece più intensa,

  “..perchè ci sono problemi con la barriera.” La Raster si paralizzò. Si voltò e guardò quell’uomo che in pochi attimi era riuscito a spiazzarla, si sedette e Edor gli chiese:

  “Tu per quale motivo vai li?” Emily lo fissò,

  “Sono una Raster, e le raster hanno il dovere di custodire i segreti, che siano antichi o che siano personali è per questo che non ti dirò quale dei due motivi è quello giusto..” rispose la ragazza, si alzò e si diresse verso il giaciglio; in pochi attimi si addormentò.

 

L’indomani, Edor trovò Emily sveglia, che stava cucinando delle uove: il profumo gli giunse alle narici, si alzò e guardò il bosco: di giorno aveva un aspetto più chiaro, meno tenebroso e pareva strano che delle dicerie potessero spaventare la gente, quel bosco, era il più bello che Edor avesse mai visto.

  Il cielo era coperto di nuvole e i raggi del sole filtravano illminandogli il volto, l’aria era fresca, frizzante e faceva piacere sentirsela addosso.

  L’uomo si voltò verso la Raster: aveva un bel fisico, pensò e i suoi capelli parevano ancor più belli del giorno prima; il fuoco su cui cuocevano le uova scoppiettava e grazie al vento assumeva delle forme strane, sinuose ed eleganti.

  Emily si voltò a guardarlo, aveva uno sguardo chiaro e a guardarlo metteva allegria e sicurezza, Edor si avvicinò:

  “Buongiorno Emily” disse l’uomo,

  “Salve, ti vedo riposato, vuoi un uovo?” chiese la Raster,

  “Si..dove le hai trovate?” chiese Edor,

  “C’era un nido sopra quell’albero” disse Emily indicaando un grosso abete,

  “Ah...ti ringrazio” ringraziò Edor prendendo un uovo, lo assaggiò: era buono e aveva un sapore dolce.  Mangiarono in silenzio, senza dire una parola.

  I due si misero in marcia, diedero da mangiare al cavallo e salirono sul carro, diretti al ponte di Kàràdott: il ponte era stato costruito dai nani, i nani che come gli elfi erano stati isolati oltre la porta; il ponte era fatto di legno, rinforzato con leghe di ferro e pali di roccia, esso era lungo venti metri, il diametro del fiume Anor, andava da una sponda all’altra e segnava il congine della regione del fuoco.

  I viandanti si fermarono, Edor scese lasciando Emily da sola, si avvicinò al ponte e lo esaminò: era in buone condizioni, seppur creato duemila anni prima, il legno era duro, di quercia e sembrava resistente, tornò indietro e disse a Emily che era sicuro, la Raster si apprestò ad attraversarlo, Edor rimase a piedi per evitare di mettere maggiore peso sul carro.

  La Raster cominciò la traversata, il carro scricchiolava e le ruote cigolavano, il cavallo parve teso: Edor capi il motivo di tanto nervosismo, la seconda parte del ponte era instabile, c’era un buco nel legno e se il carro ci fosse passato sopra, avrebbe ceduto e sia Emily che il cavallo sarebbero caduti, morendo.

  La Raster parve accorgersi del buco, era tesa e la cosa peggiore era che non sapeva come tornare indietro: il peso del carro stava per far cedere l’intero ponte.

  “Emily!” strillò Edor “Torna indietro!” gli urlò dietro, Emily parve farsi ancora più tesa, si alzò e cerco un qualcosa per arrampicarsi sul carro, voleva saltare prima che cadesse in acqua.

  Edor era pù teso di lei e spero che riuscisse a salvarssi, si sentiva neutro e impotente, non poteva fare nulla per la Raster, correva un grosso pericolo, il fiume Anor era famoso per la sua forte corrente, l’avrebbe portata via e trascinata in qualche cascata.

  Emily riusci a salire sul carro, guardò quanta distanza aveva percorso e sobbalzò, avrebbe dovuto fare più di un salto, la larghezza del ponte era quanto quella del carro, era per questo che era salita sul tetto: sospirò, guardò Edor e prese la rincorsa...

  Il ponte cigolava.

  Spiccò il salto.

  Il ponte tremava.

  Atterrò e balzò di nuovo verso la salvezza, verso la terra e verso Edor.

  Il pontò si sbilanciò.

  Emily cadde a terra.

  Con uno schiocco il ponte di Kàràdott cedette, crollò.

  Edor si rilassò e volle piangere per lo spavento, ma mantenette il suo orgolio e si accucciò affianco alla Raster aveva il volto sfregiato da lacuni graffi, l’abbracciò, la strinse a se e la rassicurò. Andava tutto bene e persino la pioggia che cominciò a scendere su di loro, sembrava rassicurante, Emily alzò il voltò e guardò Edor, se stava piangendo Edor non se ne accorse: la pioggia le copriva le lacrime.

  Giunse la notte e l’uomo accese un fuoco, Edor curò le ferite della nuova amica e cominciò a cucinare la famosa zuppa di spezie, guardo l’amica, addormentata e pensò che era stato troppo insistente la notte precedente, decise di non fare più domande. Poco dopo la zuppa era pronta, Emily si sveglio sentend il profumo, si strofinò gli occhi e guardò l’amico:

  “Grazie” sussurrò lei,

  “Non ho fatto nulla..” disse l’uomo,

  “Mi hai curato le ferite, ti sei preso cura di me” rispose la Raster,

  “Non ti preouccupare” disse Edor “Mangia ora.” Disse porgendogli una scodella. 

  Mangiarono.  Emily parve sentirsi meglio, posò la scodella e osservò il cielo, poi disse:

  “Vado dal re per il secondo motivo..” Edor posò la scodella,

  “Non te l’ho chiesto” rispose lui,

  “Lo so, e te ne sono grata” disse lei,

  “La barriera ha ceduto?” chiese l’uomo,

  “In parte” rispose lei,

  “Racconta” disse Edor “Se vuoi...” aggiunse,

Emily cominciò:

  “Come ben sai, le antiche leggende e i libri di storia narrano della guerra del fuoco, avvenuta nella regione, appunto detta del fuoco e cioè quella dove ci troviamo adesso.  La battaglia fu vinta da voi uomini e i draghi rimanenti furono isolati al di la del mare e voi avete costretto i draghi a usare la loro magia per creare la barriera.

  I draghi non si fecero più sentire poi ad un certo punto, un anno fa i draghi usarono tutta la loro magia rimanente per sfondare la barriera, ci riuscirono e crearono un piccolo buco, sufficiente per far passare un uovo di drago, l’ultimo, tutti gli altri sono morti.

  Quell’uovo si trova qui,” Fece una pausa e guardò Edor, era teso e aveva paura di cio che sentiva, lei riprese a parlare:

  “devo trovarlo Edor, se non lo troverò in tempo...” Emily fece in modo che le sue parole entrassero nella mente del compagno e gli lasciò il tempo di pensare poi aggiunse:

  “Il drago che nascerà avrà la magia di tutti i draghi e controllerà tutti gli elementi magici, riporterà in vita gli spiriti dei draghi morti e li controllerà e li scaglierà contro di noi senza pietà.” Edor si sdraiò, guardò le stelle, le nuvole erano andate via e il cielo era sereno, osservò una stella cadere ed espresse un desiderio, non si accorse che anche la Raster osservava il cielo:

  “Posso chiederti una cosa?” disse Emily, Edor si era dimenticato di lei e ssobbalzò,

  “Si” rispose,

  “Che desiderio hai espresso?” parve sorpreso dalla domanda,

  “Ho desiderato che mia moglie stesse bene e che mio figlio stesse al sicuro” disse lui in tono pacato,

  “Da cosa dovrebbero essere minacciati?” chiese la Raster,

  “Da lui. Non conosco il suo nome, so solo che porta una scimitarra dorata: è un’arma stupenda e tagliente come l’aria di questa notte.” Disse l’uomo,

  “Cosa ha contro di te?” chiese la donna incuriosita,

  “Gli ho rubato una cosa che non gli apparteneva ed ora mi da la caccia perchè la rivuole” rispose Edor, l’amica si mise seduta a gambe incrociate e continuò l’interrogatorio:

  “Ti appartiene?” Edor alzò un sopracciglio,

  “No, ma se fosse in mano sua non ne farebbe buon uso.” Emily stava per chiedere cos’era, ma l’uomo la precedette:

  “E’ una chiave”

  “Cosa apre?” chiese lei,

  “Non posso rispondere a questa domanda Raster” disse Edor,

Un ruggito sferzò il cielo mentre i due si addormentavano.

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Era notte fonda quando il custode giunse nei pressi di un villaggio di nome Kotew, ove tutti lo conoscevano e di cui nessuno però conosceva la missione, o meglio, tutti conoscevano la sua missione, ma nessuno sapeva che lui ne era il custode, dato che la leggenda dei cinque medaglioni è racchiusa nel libro "Le leggende di Fandor".

  L'aria era tagliente e rispetto al calor del giorno, gli parve come se qualcuno lo infilzasse con un coltello affilato, da lontano gli giunse l'ululato di diversi lupi, era una notte di luna piena, la notte preferita dai lupi.  Ogher, intanto, si stava imbizzarendo, sentiva la presenza di quei predatori e lui si sentiva preda e non voleva altro che una stalla e un po di fieno, cominciò a correre.  Il custode si resse forte fino a quando, giunto in prossimità della locanda del villaggio, decise di fermarsi, tirò le redini e affidò il suo cavallo ad un vecchio calvo e dalla barba folta, che tutto sorridente prese le monete che il custode gli offriva per il lavoro, quando entrò nella locanda, il silenzio fu totale e riconosciuto il nuovo arrivato molte ovazioni si levarono dai tavoli e da dietro i banconi: "Ehi Gill, come va? Te la passi bene eh!" gli disse un uomo sui trent'anni,

  "Ciao Fill" gli rispose Giller, poi si sedette al bancone e ordinò due boccali di idromele, invitò Fill ad unirsi a lui e l'ometto  si sedette al suo fianco.

  "Cosa si dice a Ghalak?" chiese il custode,

  "Tempi brutti ci attendono...pare che la repubblica di Ghalak stia crollando e che difficilmente si potrà evitare la monarchia assoluta, un tipo di Tregh pretende il trono, un usurpatore, uno schifoso bastardo dicono che abbia violentato sua moglie e che abbia fatto chissà quali atroci omocidi, lui e quello schifo del suo marchio...",

  "Marchio? Quale marchio?" chiese Giller,

  "E' uno strano marchio che si trova sul suo mantello, ma molti dicono che si trovi anche sul suo anello, raffigura un albero con sopra un ascia, dicono che quel simbolo appartiene ad una nobile famiglia di chissà quali tempi dimenticati....fesserie.." sussurrò l'uomo, - un albero ed un'ascia - aveva gia visto quel simbolo, ma dove? la cameriera servì i due boccali di idromele, non senza lanciare un occhiata affascinata al custode, il quale senza farci caso aveva iniziato a bere, ancora pensando al simbolo: la locanda era molto bella ed era la migliore nel raggio di miglia, era fatta tutta in legno di quercia, duro e raffinato, i tavoli, erano divisi in file da quattro, cinque per ogni fila e su ognuno c'era gente allegra che giocava a carte, mangiava o chiaccherava allegramente, alla fine della stanza vi era un palco, sul quale, seduto al pianoforte, un signore molto anziano suonava una delle musiche popolari più belle e orecchiabili di tutta la contea, sulle pareti erano appesi i ritratti dei vecchi propietari della locanda, ma quello che interessò più la mente del custode, fu l'ultimo: era un ritratto nuovo, che prima non c'era e ritraeva un uomo della sua stessa età che sorseggiava un boccale di birra, aveva dei capelli bianchi e corti e degl'occhi spenti, indossava una giaccha nera e di pelle raffinata, Kert, il vecchio proprietario era morto.

  "Quando è successo?" chiese Giller indicando alla cameriera il quadro che ritraeva Kert,

  "Pochi giorni fa" rispose lei,

  "Di cosa è morto?" chiese Gill,

  "Un infarto, povero Kert" rispose la cameriera,

  "E chi è il nuovo proprietario?" chiese ancora il possessore,

  "Io" rispose Fill, Gill lo guardò sorpreso,

  "Tu?" chiese poco convinto Giller,

  "Io" ripetè Fill,

  "Ma come...come puo passare a te la gestione della locanda?" chiese Giller non capendo come il suo amico avesse ereditato una cosi grande fortuna,

  "Era suo nipote, dato che suo figlio è morto, la successione della locanda è passata a me" rispose  Fill.

  L'aria sembrava ancora più fredda di prima ed il buio ancora più totale, i due amici s sedettero su una panchina a fumare una pipa, entrambi erano assorti in pensieri oscuri ed in ricordi passati, la luna si rispecchiava all'interno della fontana al centro della piazza e l'acqua zampillava allegra in quel silenzio cosi cupo, poi da lontano giunse uno strano rumore, una porta che si apriva e una voce maschile che gridava a qualcuno di non tornare mai più,  il quale gli rispose con parole più pesanti del dovuto e cosi cominciarono ad azzuffarsi, fino ad arrivare vicino alla fontana, al chiaro della luna e ad essere totalmente visibili: erano due uomini, due gemelli, riconoscibili dal colore della maglia, quella del gemello ubriaco era viola e quella del gemello delirante era rossa, i due continuarono ad azzufarsi mentre Gill e Fill osservavano la scena chiedendosi se dovevano intervenire.

  Il fratello dalla maglietta viola inciampù e cadde nell'acqua, incapace di rialzarsi e proprio quando l'altro gemello stava per alzare la spada, i due amici si resero contro che non avrebbero dovuto aspettare tanto balzarono verso la fontana sfoderando le armi: Gill con la spada argentata di Faldor e Fill con l'ascia di ottone raffinato, i fratelli si trovarono impreparati, Gill balzò contro quello in piedi, mentre Fill raccoglieva quello nell'acqua ormai svenuto e lo portava verso la locanda per rimetterlo in sesto: lo scontro tra i due rimanenti durò poico, a Gillbastò scartare di lato per evitare un affondo e con una ginocchiata fece cadere a terra l'avverario, il quale, svenne.

  Più tardi nel buio della stanza che gli avevano affidato, Giller continuò a pensare a cio che più lo tormentava, dove aveva visto quel simbolo? Un albero ed un ascia, dove? Dove li aveva visti? Guardò fuori dalla finestra esi mise ad osservare ogni singolo dettaglio di cio che veda: la piazza era silenziosa e la luna illuminava tutta la zona circostante, la fontana che prima gli era apparsa tanto bella, da lassù gli parve un po squallida dopo cio che era successo, gli parve per un momento che l’acqua fosse rossa di sangue, ma si rese conto che non poteva essere; il cielo oscuro, si stagliava sopra il custode, ricco di piccoli puntini gialli quali le stelle, che parevano bellissime in quel buio più totale: aveva sempre sognato di conoscere il modo di leggerle, conosceva gente in grado di farlo, ma mai una volta qualcuno gli aveva mai spiegato come fare.  Giller era il tipo di persona saggia e con tanta voglia di sapere e nonostante fosse molto colto, voleva sapere tutto di tutte le cose che lo circondavano. Aveva viaggiato molto tra le sterminate contee di Efrawa e aveva appreso quasi tutti i linguaggi esistenti.

  Giller tolse lo sguardò dalla finestra e osservò se stesso riflesso nello specchio della stanza, si sentiva strano, era stanco, molto stanco, stanco dentro, nel corpo.  Si alzò e si diresse verso la poltrona di seta rossa davanti al camino, che acceso, scoppiettava allegramente: le fiamme avevano colori brillanti e a Giller dava fastido guardarle, erano fiamme allere che passavano dal giallo al blu e dal blu al rosso.  E mentre si riscaldava le mani pensò alla sua missione: aveva attraversato in lungo e largo le terre di Efrawa, passando per la sua amata foresta di Faldor e per la pianura di Ghalak, aveva raggiunto il vulcano di Kretow e lo aveva valicato e poi ancora la regione dei laghi Miljinki ed i monti Ujer, fino ad attraversare il deserto di Fister....eppure non li aveva trovati, non aveva trovato i cinque, aveva fallito.

  Sapeva dove doveva andare, la leggenda dice che i cinque vanno cercati uno per volta, e solo dopo averne trovato uno i medaglioni avrebbero indicato un’altra strada, perchè è a questo che servono i medaglioni, ti indicano la strada, solo la strada, non l’individuo e la strada che gli era stata indicata era l’unica che lui cercava di evitare: il mare.

  Sin da piccolo Giller aveva vissuto nelle foreste e non aveva mai visto il mare, quando un giorno suo fratello gli disse che sarebbe andato alle isole Werent, Giller era stato felice per lui ed allo stesso tempo geloso perchè lui non lo avrebbe mai potuto vedere, comunque sta di fatto che dopo pochi giorni dalla partenza di Jake, arrivò alla casa dei Zugorov un messaggero che dichiarava la morte e la scomparsa del fratello migliore di Efrawa.  Furono momenti tristi e Giller al ricordo di suo fratello dovette sdraiarsi sul letto: era il mare che lo spaventava, ma sapeva che il primo guardiano dei medaglioni era li.

"E perché voglio che un giorno i grassi locandieri si inchinino davanti a me." (Raistlin Majere)


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Le terre di Efrawa detenevano un enorme superficie, ed erano suddivise in sette grandi regioni: Kretow, Werent, Fandor, Ghalak, Miljinki, Ujer, Fister.

  La regione dell’Ujer, era la rispettiva regione del fuoco ove si trovavano i due viandanti; il suo nome deriva dalla catena montuosa presente al suo interno, i monti Ujer per l’appunto, a sud di essi si trova il bosco delle lacrime e il confine della regione è delimitato dal fiume Anor e dalla barriera dei draghi.

Edor e Emily camminavano avanti e indietro cercando di capire come potevano superare il confine, senza un cavallo, senza un carro e senza un ponte.

  Edor sapeva che c’era un’altra via, perchè vedeva che Emily sorrideva, come se si stesse prendendo gioco di lui.

  “Allora...dove si trova l’altra via?” disse Edor,

  “Quale via?” chiese misteriosa la Raster,

  “Credi di prendermi in giro Emily?” chiese Edor,

  “Ridillo” disse lei,

  “Cosa?” chiese l’uomo,

  “Il mio nome” si voltò a guardarlo “Mi piace come lo dici!” disse lei,

  “Ah..d’accordo Emily qual’è l’altra via?” Emily sorrise e disse:

  “E’ un guado, si trova a circa tre giorni a cavallo..” Edor si guardò attorno,

  “E senza di esso?” chiese l’uomo,

  “Cinque” Edor parve spazientito, poi annui e fece intendere di partire.  Camminavano in silenzio da ormai un ora: l’aria era densa e il sole splendeva alto nel cielo, Edor lo fissò per un momento, poi quando il bagliore provocatogli cessò, vide che bella giornata era, gli uccelli cinguettavano e le nuvole bianche sopra di loro proiettavano delle sottili ombre sul terreno.  Camminarono lungo un sentiero che costeggiava il Fiume Anor, e notatorono che l’acqua era molto chiara e che la corrente si era fermata.  Emily continuò a camminare a testa bassa, facendo attenzione a dove metteva i piedi: il sentiero era infatti molto ripido e il terreno era cosparso di pietre e di radici, al loro fianco il bosco delle Lacrime era silenzioso e le verdi foglie riflettevano la luce del sole.

  Edor controllò che la spada al suo fianco fosse assicurata bene, non voleva certo perderla, era un regalo di suo padre: un giorno, infatti, in punto di morte, suo padre gli aveva detto, che quella spada era la spada degli Homnel e che veniva passata di generazione in generazione e che era appartenuta al famoso guerriero che nella prima era, era divenuto re di tutte le terre di Efrawa.  Sangue nobile scorreva nelle vene di Edor, ma suo nonno aveva ceduto il trono ad un’altra famiglia, quella del re Klertos: i Dumèn.

  Ad un certo punto, i due viandanti giunsero sulla cime della collina e il sentiero fini, i due decisero di accamparsi, di modo da avere una buona postazione per visualizzare eventuali nemici, Edor preparò la rituale zuppa di spezie e subito dopo aver mangiato, i due, a corto di parole, andarono a dormire.  Passarono cosi tre dei cinque giorni senza che successe nulla e tra scampagnate e zuppe di spezie, giunsero in prossimità di un villaggio di nome Ghetry, situato tra il bosco delle Lacrime e il fiume Anor.

  Ad accoglierli arrivarono tre donne dall’aspetto strano: erano belle certo, ma i loro vestiti erano a dir poco eccentrici.

  Le tre donne, vestite con indumenti dai colori vivaci e accesi si presentarono:

  “Il mio nome è Gildha” disse la più giovane inchinandosi: era graziosa, aveva degli occhi azzurri e limpidi e il suo vestito blu e bianco s’intonava con essi,

  “Piacere, il mio nome è Edor e questa è la mia amica Emily” disse l’uomo indicando la Raster,

  “Benvenuti nel nostro villaggio stranieri, perdonate le mie due amiche se non si sono presentate, ma loro sono mute” disse Gildha indicando le due donne “I loro nomi sono Jean e Kate” Edor le salutò con un cenno del capo e la raster gli strinse le mani,

  “Piacere donne di questo villaggio” disse Emily.

  “Desiderate fermarmi per qualche giorno?” chiese Gildha,

  “No, ti ringrazio, se è possibile a noi servirebbero due cavalli, siamo diretti oltre il confine, al guado” disse Edor,

  “Al guado? Perchè andare al guado quando c’è il ponte?” chiese la giovane ragazza,

  “Il ponte di Kàràdott ha ceduto e con esso il nostro carro e il nostro cavallo” rispose Emily,

  “Mi dispiace” disse la ragazza “Venite vi porterò alle stalle, cosi potrete scegliere i vostri cavalli” i due annuirono.

  Passarono all’interno del villaggio, era molto bello, le capanne erano fatte di legno e di paglia, alcune anche in argilla e altre in roccia: gli abitanti - Tutti vestiti con colori vivacissimi - li salutavano con abbracci, cenni del capo e con le mani.

- Tipi ospitali – pensò Emily.

  Nelle piazze i bambini giocavano allegramente e nella case, Edor scorse anche gruppi di gnomi, non se ne vedevano molti in giro, erano strani, bassi la metà di un uomo e con un naso grosso il doppio, ma quando volevano, anche con il loro buffo aspetto riuscivano a farsi rispettare.

  Dalle case attorno provenivano degli odori deliziosi e Emily che si era stufata di mangiare zuppa di spezie tutti i giorni chiese se potevano avere anche del cibo, Edor la guardò accigliato:

  “Non ti piace la mia zuppa?” chiese l’uomo,

  “Non è questo Edor, io adoro la tua zuppa, solo che non posso mangiarla tutti i giorni, perde il suo sapore, non essere offesso...” Edor fece finta di esserlo, poi sorrise e i due cominciarono a ridere, la ragazza acconsenti la richiesta della Raster.

  Le stalle erano molto grandi, erano fatte in legno di Frassino ed erano molto resistenti, l’entrata era sorvegliata da due uomini, per evitare che qualche animale imbizzarrito scappasse: li salutarono con un cenno del capo ed entrarono.  L’aria era densa e aleggiava un odore di stabbio e di fieno, la ragazza si fermo e voltandosi disse loro di scegliere i cavalli che preferivano.

  Edor scelse uno stallone dal pelo nero a cui diede il nome di Kert.

  Emily una giumenta che chiamò Kim.  Salirono in groppa ad essi e mentre gli porgevano il cibo salutarno le tre ragazze:

  “Ci dispiace che andiate via cosi presto” disse Gildha,

  “Lo so, scusaci è che abbiamo una data da rispettare e non possiamo fermarci un attimo, grazie per il vostro aiuto, non lo scorderemo, addio!” disse Edor

  “Addio stranieri!” urlò Gildha.

  I due viandanti si avviarono verso il guado.

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“Ehi Sad! Ehi Sad svegliati!” sua sorella lo stava scuotendo, con forza e determinazione, si mise a sedere sul letto e cercò con forza di scollarsela di dosso “Ehi Sad ti sei svegliato! Corri corri! il sindaco del paese sta parlando a tutto il popolo dei Werent nella piazza del tuo scontro di ieri, corri andiamo a vedere cosa sta dicendo!” Greta urlava con impaziena e Sadrim si alzò di botto, cosa voleva il sindaco? Non si diede nemmeno pena di lavarsi tanto era la curiosità e si fiondò giu per le scale a capofitto, chiese a Greta dove era la madre e la ragazzina gli disse che era fuori con gli  altri.

  Arrivarono giusto in tempo per l’inizio del discorso:

  “Concittadini dell’arcipelago di Werent, parlò a nome di tutti i governanti dell’isole.  Un messaggero mandato in missione segreta ci ha inviato un messaggio. La pianura di Ghalak sta per cadere nelle mani di un usurpatore e molti temono la monarchia, un signore anonimo e che non tiene a far conoscere il suo nome in caso di eventuali spie, chiede il nostro appoggio, ci chiede di ribaltare la situazione. Dicono che abbiamo tempo tre mesi per prepararci e che non ci costringe a lottare, ma solo a rifletterci, perciò concittadini a voi la scelta...” le sue parole fluttuarono nell’aria, l’aria era tesa e la notizia di una battaglia non era molto bella per un popolo pacifico come gli Werent.

  La piazza che era sembrata cosi grande e cosi spaziosa ed ora, era piena zeppa di testa dai capelli rossi e di alcune teste calve, fu una di quelle ad attirare l’attenzione di Sadrim: il signor Tom.  Passò in mezzo le gambe di tutti fino a giungere al punto dove l’uomo osservava silenzioso e pensieroso la scena, lui non lo notò e di cio ne fu grato, voleva aprire un discorso con lui, ma non sapeva da dove iniziare, poi qualcuno disse:

  “Per quale motivo dovremmo combattere? Non siamo uomini di guerra e siamo sempre stati lasciati in pace, se ci rivoltiamo contro questo usurpatore diventeremo come tutti gli altri, diventeremo como loro: guerrieri” l’ultima parola fluttuò nell’aria per qualche istante, poi qualcun’altro rispose rivolto all’uomo:

  “Wen dove sta tuo figlio in questo momento?” la voce del signor Tom risuonò potente,

  “Cosa?!..io...lui sta studiando a Ghyter, la capitale della pianura di Ghalak” rispose Wen,

  “E se questo usurpatore salisse al trono? Come pensi che tuo figlio possa tornare a casa? Diventerebbe schiavo del nuovo dittatore” il silenzio calò su Wen alla risposta del vecchio dalla testa calva:

  “Io credo che dovremmo dimenticare il passato, io credo che il popolo dei Werent debba dare importanza al suo coraggio, perchè di questo che noi siamo fatti: di coraggio.

  Ognuno di noi ha un motivo per non combattere e un motivo per farlo, ma pensate se voi accettiate il motivo per non farlo, pensate a quali sarebbero le conseguenze! Volete perdere un figlio perchè gli Werent non sono un popolo battagliero? Volete perdere una moglie o un amico per non combattere? Io no.” Tom era commoso ed una donna rispose:

  “Avrai anche ragione Tom, ma accettando la guerra chi ci assicura che non perderemo altrettanto, come faremo a sapere noi donne della sorte dei nostri figli e dei nostri mariti, mandati in guerra senza aver mai preso un arma in mano?” molti annuirono, altri guardarono Tom come se si aspettassero qualcos’altro ed infatti:

  “Ho visto morire più persone di tutti voi, ho visto donne piangere i loro figli ed i loro mariti, ho visto amici morire insieme piuttosto che abbondanare il campo di battaglia e ho visto lacrime solcare il viso di molte persone.  E dopo trent’anni della mia vita, passati a combattere sui monti Ujer, mai e poi mai permetterò che qualcun’altro popolo di Efrawa vengo soggiogato o polverizzato, quindi io, Tom Jinner comandante della quarta legione caduta in battaglia, combatterò!” era assurdo! Stava pensando Sadrim, Tom Jinner! Il vecchio Tom era Tom Jinner! Il comandante che guidò alla vittoria sul campo di battaglia dei monti Ujer, dove nani e uomini lottarono per il possesso della libertà: I nani avevano sottratto cento abitanti del popolo degli Werent dicendo che glieli avrebbero restituiti solo in cambio dei porti navali, il popolo dai capelli rossi aveva combattuto per trent’anni una guerra stremata ed il comandante Jinner aveva vinto ed aveva portato i cento uomini a casa, dopo quei duri anni il popolo dei Werent non volle più combattere ed ora sembrava che si sarebbero dovuti ricredere.

  Alla dichiarazione di Tom Jinner, un boato si era levato dalle file e gia molti fabbri avevano tolto di mezzo ogni attrezzo inutile: zappe, vanghe, vasi ecc...ora i tavoli erano ingombri di armi e molti cominciarono a forgiarne di nuove di ottima fattura; i falegnami abbandonate le case ed i mobili,si apprestavano a creare dei magnifici archi e le vecchie divise di quegl’anni bui passavano di padre in figlio: tre mesi allo scadere del tempo: i preparativi erano cominciati.

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 Camminarono per diverse ore, Kim e Kert, i loro cavalli, erano stanchi, ma Emily era decisa ad attraversare il guado prima del giorno seguente – Di notte? – le aveva chiesto Edor – Il nemico ci insegue ovunque, il buio puo esserci amico e la luce puo tradirci – aveva risposto lei, e cosi eccoli li: un uomo e una Raster, due viandanti il cui destino si era legato all’insaputa di entrambi.

  Il sentiero era viscido, muschioso e parecchie volte, sentirono i cavalli che rischiavano di scivolare, al loro fianco, il bosco sorgeva silenzioso, protettore degli animali e nemico degli uomini; il fiume rombava tumultuoso.

  Faceva freddo, moltissimo freddo, il vento turbinava in lunghe spire intorno a loro e annunciava una tempesta...

  “Se s’innalza una tempesta, il deserto di Miljinki che si trova al di la del fiume, trasporterà la sua sabbia dritta su di noi” disse Emily,

  “Gia, ma tu non vuoi fermarti...” rispose l’uomo,

  “Ho i miei motivi, proseguiamo” disse la Raster.  Da quando avevano abbandonato il villaggio, i due viandanti si sentivano maliconici, di fronte a quella notte cosi tetra e tempestosa.

  Kim e Kert, erano due cavalli magnifici aveva notato Emily e non sapevano quali terribili e pericolose avventure avrebbero percorso insieme ad essi.

 

****

Cammino da giorni, sette da quello che posso ricordare, una settimana precisa è passata da quando mi sono ritrovato qui, in questo mondo cosi strano, cosi diverso dal mio...

  Sono caduto nella sabbia, la sabbia di un deserto, un deserto moto lungo che io ho attraversato in direzione nord, o forse sud, non sono sicuro, non ci si orienta facilmente in un deserto...

  Ed ora sono qui, mi ritrovo a costeggiare un fiume che ho appena attraversato attraverso un guado ed al mio fianco si estende un enorme bosco, gigantescho e insolitamente tetro per una giornata cosi: sole, un sole mai visto, caldo e denso; una giornata priva di vento; un fiume calmissimo.

  Ho fame, moltissima, ho sete, ma soprattutto ho paura...

  Mi sono fatto molte domande. Dove mi trovo? Dove sto andando? E’ forse l’inferno questo? La risposta è si..

  Sono uscito dal guado da ormai un ora, anche se il tempo è difficile da calcolare in questo luogo, in questo inferno...procedo lungo questo sentiero su un terreno duro composto da detriti e terra finissima..

  Mi volto per guardare il fiume e lo vedo piatto, invitante e la voglia di tuffarmici è tanta, poi incontro una radice e cado a terra sbucciandomi le ginocchia, che dolore! Il sangue esce dalla ferita, ma io mi sono rialzato, sono stanco, anzi, stanchissimo, perchè continuo a camminare? Dove sto andando? Perchè non mi sdraio per terra a riposare?

....Tra poco mi sarei accorto che sdraiarsi a terra , sarebbe stato molto meglio che rimanere in piedi..

  Quelle creature mostruose che non avevo mai visto.

  Le vidi giungere all’ora di punta, quando ormai il sole era alto, stavo camminando da non so quanto tempo, che cominciai a notare un leggero venticello, poi le acque del fiume cominciarono a turbinare e il vento si fece più forte, sempre di più e quando mi voltai le vidi per la prima volta: creature orribili e al tempo stesso bellissime,  fu allora che senza pensarci mi tuffai in un cespuglio, mi accucciai...  Poi, come erano venuti, scomparvero nella direzione in cui ero diretto...

  Non volevo crederci: Draghi. No, i draghi non esistono, esistono solo quelli nelle favole che leggiavamo da piccolo io e mia sorella, eppure....

  Ali, squame, corna, tutto corrispondeva, eppure

  Caddi a terra stremato dalla fatica.

 

****

 

Fu Edor a vederlo per primo, si fermò con Emily e scese a controllare se stesse bene.  Si avvicnò a osservarlo: era un ragazzo, aveva dei capelli castani e gli occhi marroni, al collo aveva qualcosa, Edor guardò Emily e lei capi che doveva prendere dell’acqua, mise il ragazzo a sedere e cercò di svegliarlo...

  Con un attimo fu in piedi, guardò l’uomo e poi la Raster e si lanciò contro Edor menando calci e pugni a più non posso, la sua forza era sorprendente, un calcio arrivò in pieno mento del pover uomo, il quale a sua volta mise mano alla spada, era un nemico o un amico? Fece uscire la lama, che sibilò, si mise in posizione d’attacco e lanciò un fendente, il ragazzo lo schivò e gli saltò addosso, cominciò a dar pugni sulla faccia di Edor, che era pieno di sangue, poi, Emily diede una gomitata sulla schiena dello straniero che cadde a terra e proprio quando sembrava che lo scontro era finito, il ragazzo saltò in piedi, prese la spada di Edor e la puntò verso i due viandanti, Edor alzò le mani e disse che non volevano fargli del male e lui stanco com’era non si preoccupò minimamente della verità o meno di quella affermazione, lanciò la spada ad Emily e si sedette.

  Poco dopo, Emily porse una scodella di zuppa al nuovo arrivato, il quale con la fame che aveva, accettò senza indugio..

  “Allora, cosa ci faceva un ragazzo cosi giovane su questo sentiero cosi impervio, affamato, assetato e stanco, non che non sappia difenderti, ma...” disse Edor grattandosi il mento, il ragazzo non rispose, ma continuò a mangiare e a bere a più non posso, poi, finita l’ultima scodella di zuppa, quando il sole stava tramontando, disse:

  “Vi ringrazio per questo, il mio nome è Christopher” fece una pausa   “Christopher Sender”.

  “Christopher, eh? È un bel nome” disse Emily,

Era tardi ormai, forse mezzanotte, erano ancora accampati, poichè il nuovo viandante, Christopher, aveva bisogno di riposarsi e quando si svegliò, Emily gli disse che erano diretti al guado e che se voleva poteva unirsi a loro:

  “Il guado?” chiese Christopher,

  “Si, pechè?” chiese Edor,

  “L’ho attraversato questa mattina, poco prima di vedere i...” stava per dire DRAGHI, ma era assurdo per lui!

  “Prima di vedere cosa?” lo incalzò Edor,

  “Bhè, non ne sono sicuro, ma..credo di aver visto dei...ecco...draghi!” disse Robinson, Edor quasi svenne, Emily si scagliò contro il nuovo arrivato prendendolo per le spalle e urlandogli:

  “Draghi? Dove? Da che parte andavano?” il ragazzo ci pensò, poi disse,

  “Erano un centinaio, sono andati dalla parte opposta del guado..” disse indicando la direzione da dove erano venuti i viandanti “Un altra cosa essi erano come...fantasmi” concluse Christopher, Edor ed Emily si guardarono in faccia, poi l’uomo disse.

  “Oh no! Il villaggio di Ghetry!”.

Non starò qui a descrivere il viaggio dei tre viandanti, dato che in confronto a cio che trovarono non varrebbe nulla.

  Arrivarono dopo due giorni, due giorni nel quale non parlarono ne fecero domande l’uno sull’identità dell’altro, camminarono e basta, quando giunsero al villaggio di Ghetry, verso mezzogiorno, si sentirono sprofondare.  I corpi degl’abitanti erano ovunque, insaguinati, lacerati e rivoltati; le case erano state bruciate, calpestate, distrutte; la terra era disseminata di sangue, sangue rosso, sangue ancora vivo, sangue UMANO.

  Christopher fece un passo avanti, verso quell’orrore, verso quell’inferno, poi si voltò verso i due amici e chiese.

  “Che posto è questo?” nessuno rispose.  Edor ed Emily scesero dal cavallo e si diressero verso la stalla, quando vi giunsero, la trovarono in rovina, semidistrutta, i corpi di ogni cavallo erano riversi per terra...a chi mancava un occhio, a chi una gamba e a chi erano state lacerate perfino le budella:

  “Cos’è questo?” chiese Robinson indicando qualcosa....

  Una pozza, una pozza di sangue, ma la particolarità era la forma: una zampa di drago.  Emily volse lo sguardo verso un’altra direzione e fu li che vide il vero orrore di tutto quel genocidio, le tre donne che avevano conosciuto al villaggio si trovavano li, appese ad un albero, con la testa rivolta verso terra, gli occhi sbarrati, vitrei, senza espressione, se non la paura, Emily cominciò a piangere, Edor guardò la landa desolata e disse:

  “ Non era solo, i draghi non possono appendere la gente, hanno mani troppo grandi. L’uovo di drago non è ancora schiuso, mai i draghi fantasma sono liberi, Emily, la pagheranno un giorno, te lo prometto...” il buio della notte li travolse.

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Giller abbondonò il villaggio alle prime luci dell’alba, era pronto, il mare lo attendeva.

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