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ESPERIMENTO...

Ultimo Aggiornamento: 28/07/2013 22:45
17/03/2013 08:45
 
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Dunque, siamo passati dai pareri sul mio racconto al signore degli anelli, ed ora entriamo nel campo del “come leggiamo” e “come viviamo”. Ti rendi conto, vero, che dovremmo sparpagliare questa discussione in almeno altri quindici topic???

Amicizia. Fiducia. Grandi parole, grandi concetti senza alcun dubbio.
E’ esattamente questo il problema. Parole, concetti. Mere astrazioni. Lettere composte in fila per qualificare ciò che non può essere misurato o calcolato, il marchio distintivo di uno stato puramente soggettivo, mutabile al punto da essere perennemente in forse.

Solo un tentativo umano per razionalizzare qualcosa che di fatto non esiste.

La forza, quella in senso lato e con la “F” maiuscola, non deriva dall’amicizia ne dall’odio, non dall’amore ne dalla rabbia, non accorre in aiuto in caso di bisogno ne discrimina fra giusto o sbagliato. Tutti questi sono elementi di contorno, parte dell’equazione che origina il contesto in cui una scelta è compiuta. C’è una correlazione ovviamente (e sarebbe impossibile dire il contrario) per questo se combattiamo per qualcosa di importante lo facciamo più duramente, ma un uomo che ama non trova nell’amore la forza di vivere, vi trova solo un motivo per farlo.
Sentimenti, emozioni, legami. Tutto questo rientra nel “perché” non nel “come”


Volontà e capacità sono gli unici due parametri che qualificano un individuo (e che hanno peso nel fare…)

Volontà, di fare qualcosa, qualunque cosa. La vita è un concetto matematicamente molto semplice: ci si pone una domanda e si trova una risposta. Cosa mi metto oggi? Faccio colazione o no? Uccido a coltellate il mio capo (il quale ha la pretesa che io lavori solo perché mi paga. Ancora non ho capito cosa abbia generato in lui tale assurdo modo di pensare…) o no? Mi scolo una birra o due? (qui il no non si prende neanche in considerazione…) affronto il balrog o fuggo? Me la da o me la prendo? (normalmente, nessuna delle due…) tutta una serie di decisioni, sottomesse alla nostra indole, il nostro condizionamento culturale, il nostro credo. Tante coordinate cartesiane. Una serie di puntini che, se uniti, disegnano ciò che siamo. Nient’altro che un susseguirsi di scelte.

Capacità, di ottemperare alla scelta che abbiamo compiuto. La capacità di legarmi le scarpe se ne ho scelte un paio con i lacci, la capacità di affondare trenta centimetri di acciaio (scadente. Nella maggior parte dei casi inox…) nell’addome di un uomo, la capacità di trovare acqua in un deserto o di staccare la spina a mio padre in coma, di alzare sopra la testa 32 chili di gyria o di correre abbastanza velocemente da non perdere il tram. Varia, e di molto nel corso di una vita, dipende da ciò che si apprende e dal modo di farne uso, oltre che dalle predisposizioni naturali. La forza è questo, niente di più, niente di meno.
La vera forza è un parametro che non risente delle condizioni esterne, totalmente avulso dai “perché” e misura esclusivamente la capacità di compiere l’azione imposta dalla volontà, azione che può benissimo essere l’affrontare dubbi e tormenti. (mai detto che bisogna esserne privi per essere eroi. Tanto meno per essere “credibili” come personaggi. L’insicurezza è uno stato insito nella natura dell’uomo, troverei strano che non ci fosse piuttosto!)

Ora, non conta assolutamente nulla quanto tu tenga ad un figlio. Il tuo amore materno non può impedire al camion al quale ha tagliato la strada di distribuirlo equamente per tutto il vicinato, così come la mia ferrea intenzione di far fare un ultimo giro in moto a mio nonno non gli ha impedito di tirare le cuoia prima che la sua (ora mia) lodola fosse restaurata. La volontà senza capacità sfocia in un fallimento, le capacità senza volontà a farne ricorso rimangono inutili ed inutilizzate.
E’ DEL TUTTO IRRILLEVANTE la fiducia che viene riposta in Frodo, i legami di amicizia che ha stretto o il suo concetto di bene e male; se non mangia muore, se si congela muore, se affonda nelle sabbie mobili muore, se viene attaccato dai lupi muore. Indipendentemente dal fatto che la sua sopravvivenza sia utile alla salvezza del mondo.
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Concordo che in un gruppo, inteso come unità composta da più parti, il valore di “forza” globale possa differire notevolmente dalla semplice somma di quella dei componenti, ma questo è vincolato alle dinamiche interne ed agli interessi del momento, che creano quindi solo un “perché” più complesso. (varrebbe lo stesso discorso anche per il singolo individuo, ma data la natura matematica del post, con un gruppo si dovrebbe ragionare in termini di funzioni di integrali…)
Si, Frodo tende a sopravvivere fin che altri gli parano il… spalle, ma per buona parte della sua avventura è solo (con Sam e gli altri botoli. Siamo comunque scarsi come capacità…)

Tolkien può scrivere di tutti i buoni sentimenti che vuole, può mandare tutti i migliori messaggi sociali a sua discrezione, ma se per farlo deve forzare una storia per piegarla a tale scopo, ha creato una storia artefatta.

Io intendo la narrativa come un portale per un altro mondo. Parlo di sospensione dell’incredulità per questo. Quando leggo, ciò che leggo diventa vero, e tutto si muove secondo le leggi stabilite dall’autore. Se mi dice che un drago può portare sulla schiena un piccolo esercito a me sta bene. Se mi dice che un mago può uccidere una falange di fanteria istantaneamente assorbendone la forza vitale gli credo. (se dice che per magia si può diventare vettori della peste anche, ma di questo ne parlo dopo…) se però mi parla di profezie che se non pronunciate non si avverano o di spade in acciaio damascato che dopo fuse e riforgiate mantengono le sfoglie sovrapposte senza fornirmi una valida ragione, allora quello che conosco della realtà entra in conflitto con la realtà “altra” del libro generando fastidio (solo perché, a parte eragon, ho citato alcune delle migliori saghe in circolazione, e quindi repulsione sarebbe fuoriluogo…)
Quindi se mi dicono “Frodo deve attraversare il lunghissimo, oscuro e completamente deserto cunicolo nella montagna, affrontando il suo terrore del buio mentre noi fermiamo i nazgul che l’inseguono” non faccio nessuna fatica a considerarlo vero. Se mi dicono “Frodo deve attraversare tutto il mondo, sopravvivendo a quasi qualunque condizione ostile della storia, per lo più da solo” faccio MOLTA fatica a fare altrettanto. Anche ponendo che (ed al riguardo ho dei dubbi, ma questo viene postulato come antefatto portante quindi lo accetto senza difficoltà.) Frodo sia l’unico a poter portare l’anello, questo non implica che DEBBA arrivare dal punto A al punto B. (fra l’altro; chi ha una volontà in conflitto con il male ed una capacità maggiore del male stesso può sconfiggerlo. Che debba essere puro di cuore non è vincolante. Gollum non fa proprio nulla per redimersi. Si limita a morire come un imbecille perseguendo lo stesso scopo che l’ha guidato per tutto il libro, e Gandalf non decide di cadere a moria, applica semplicemente il terzo principio di Siffredi, il quale enuncia che: tanto più grosso è il tuo avversario tanto più è deleterio lasciarselo alle spalle libero di agire. Mossa più logica sarebbe stata inchiodare merry al ponte ed abbatterlo, il ponte, non Merry, non siamo mica dei selvaggi… con calma dopo averlo attraversato, mentre il balrog si gustava l’hobbit. Bhè, magari con un po’ più di tempo per pensarci ci arrivava anche il vecchio bacucco! Ad Aragorn non viene affidata la compagnia, ma ci si ritrova a capo. Frodo viene spedito a gran burrone perché farlo perdere per boschi è un male minore rispetto alla riconquista dell’unico da parte di Sauron e Gandalf ha talmente tanta fiducia in tutti da custodire gelosamente per se ogni briciolo di informazione possibile oltre alla propensione per sbucare fuori dal nulla nei momenti più impensabili per mettersi a dare ordini.)

Arrivando infine al mio racconto. Intanto non ho mai detto che siano portatori sani (Michele soffre di febbre, capogiri, difficoltà respiratorie, psicosi e dolori cronici. Tutti sintomi della peste) ne che siano sopravvissuti. Essere contagiati dalla peste (parlo dell’avo) non implica necessariamente la morte. La forma bubbonica lascia il 25-30% di sopravvissuti i quali sviluppano immunità verso il ceppo virale che li ha infettati. Le torture non risvegliano la peste (anche se contribuiscono al collasso del sistema immunitario che serve dopo…) ma servono solo per cercare di convincerlo a cedere il suo potere (e servivano a me per creare una condizione plausibile per cui i sintomi della peste fossero mascherati da qualcos’altro, permettendogli di girovagare indisturbato…)

L’incantesimo che crea i custodi è l’assunto fondante del racconto. Wilde postula che un ritratto possa assorbire i bagordi di Dorian. Verne che si possa raggiungere il centro della terra senza nuotare in immersione nel magma ad alta pressione per 6 milioni di chilometri, Roddenberry che si possa viaggiare a velocità superiori a quelle della luce e gli evangelisti che Dio esista ed abbia un figlio. Io che esista un incantesimo (magia, non scienza. Ti sei mai chiesta come fanno i maghi a fare le palle di fuoco o gli oracoli a vedere il futuro?) in grado di controllare la peste. Se non accetti per vero neanche questo forse il fantasy non è il tuo genere (no, nessuna ironia, ne velata offesa.) Immagino però che questo non ti soddisfi, quindi (questo è un omissis. Non è nemmeno lontanamente citato nel racconto e non è mia intenzione menzionarlo neanche nella versione completa.)
L’incantesimo funziona modificando il sistema immunitario per rendere i macrofagi resistenti ad alcune classi di proteine (si, c’è tutta una serie di altri problemi. Michele sarà soggetto ad infezioni ricorrenti, invecchiamento precoce e dovrà mangiare tanta carne. Pazienza, stiamo parlando di impero romano e la gente moriva. La soluzione che hanno trovato non è perfetta ne elegante, ma funziona, ed all’epoca un codice deontologico come lo si intende ora non esisteva..) impedendo quindi allo Yersinia pestis di attaccare i linfonodi. Contemporaneamente, aumenta la “permeabilità” del soggetto all’infezione, con il risultato che in un dato luogo, il contagio veniva limitato a zero dal fatto che l’agente patogeno trasmesso per via aerea viene assorbito prima che possa contagiare altre persone (no, non è una questione di spazi, vedi la stirpe di Michele come un associazione di “pifferai magici” e non potevano salvare chi già era ammalato o in incubazione) e rendendo Michele e parenti resistenti ala peste in quanto con il sistema immunitario non compromesso, potevano far fronte all’infezione, almeno fino a quando ne assorbivano in quantità limitata (fino a quando cioè il sistema immunitario riusciva a far fronte alla riproduzione batterica). Superato il limite, anche loro si ammalavano (con un tasso di mortalità inferiore). La modifica immunitaria è ereditaria, la peste no (anche se è plausibile supporre che la ciclicità delle epidemie li abbia colpiti più o meno tutti nell’arco della vita). Michele entra presumibilmente in contatto con il ceppo virale in asia dove viene spedito e a causa della sua debolezza fisica contrae la malattia (probabilmente è proprio il mago ad infettarlo, anche se a me piace pensare che sia stato il paziente zero di quella che è stata la “vera” epidemia) questo attiva le sue risposte immunitarie e soprattutto la sua capacità di “pifferaio” (che imparerà a manipolare per poter dare direzionalità alla peste. In questo modo è in grado di sfruttarla come arma, infettando un corpo con batteri già maturi ed attivi in quantità tali da elidere l’incubazione ed uccidere anche in pochi secondi, e snaturando di fatto l’operato dei vecchi maghi)
A Caffa l’infezione che ha diffuso lo ricontagia oltre alle sue possibilità rendendolo infettivo (e malato in modo permanente) quindi ritorna a Genova (contagiando chiunque sulla sua strada) per uccidere il Doge (trasmettendogli anche parte delle sue capacità immunitarie infettandolo con batteri poco vivaci in modo da fargli sviluppare antigeni. Una sorta di vaccino) il quale si ammalerà e non si riprenderà più in quanto intanto l’epidemia si è propagata in città e quindi Giovanni subirà un contagio continuo fino a morire di peste nel 1350, tre anni dopo l’ipotetico arrivo di Michele (morto di peste anche lui)




cerco la pace tra le bombe
la vita tra le tombe
la luce tra le ombre
ma è la realtà che mi confonde
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