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Herr

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    Prosdszt
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    Registrato il: 08/07/2011
    Città: ROVIGO
    Abitante di AURENDOR
    VALLETTO
    00 25/07/2011 00:59
    Il caldo era opprimente e l’aria quasi irrespirabile ebbra dell’odore di sudore e sporcizia, satura del fumo delle troppe candele di sego. Ovunque si posasse lo sguardo loschi e trasandati individui erano intenti a bere e giocare d’azzardo. Nella confusione assordante della sala comune una cameriera si faceva largo tra la folla schivando mani troppo lascive e tavoli con troppi coltelli fuori dei foderi.
    All’ultimo tavolo, quello più lontano dall’entrata, quello più in ombra nella peggior bettola che si potesse trovare stava un uomo solo. Teneva il cappuccio calato sul viso, le gambe distese stancamente e la grande spada bastarda appoggiata al muro al suo fianco a portata di mano. L’impugnatura in metallo era sagomata in spigoli vivi e bordi affilati, impossibile da maneggiare senza ferirsi.
    L’uomo poggiò sul tavolo il boccale ormai vuoto, il suo sguardo si posò distrattamente sulla mano sinistra. Dalla terza falange e su sino al gomito l’intero braccio era cristallizzato e opalescente, scuro come madreperla. Ancora una volta l’uomo si ritrovò a pensare al parassita che ormai da anni lo accompagnava.
    Le antiche leggende della sua terra mettevano in guardia da creature particolari prive di coscienza o raziocinio. Questi esseri erano estremamente rari e conosciuti solo come parassiti, incapaci di muoversi attendevano sopiti un ospite, a volte morendo nell’attesa.
    Se per disgrazia entravano in contatto con il sangue fresco di una creatura vivente, essi si risvegliavano trasferendosi sull’ospite. Assorbivano sangue ed energie, crescendo e diramandosi attraverso vene ed arterie, alimentandosi fino al momento di potersi riprodurre per poi morire con l’ospite, che sarebbe servito da nutrimento svezzante per la nuova generazione.
    I nuovi nati però, giovani vitali e aggressivi, impiegavano giorni prima di entrare nella stasi che avrebbe accompagnato le loro vite. Periodo in cui, diffondendosi e propagandosi come un’epidemia attraverso ogni forma di vita i parassiti crescono di numero, generando nuovi figli finche sono in grado di trovare ospiti.
    Per destino o forse solo per incuria, un parassita trasportato dal suo ospite giunse al villaggio di Herr allora poco più che bambino, dove si riprodusse dando l’avvio al contagio.
    Gli abitanti dei villaggi vicini, colti completamente alla sprovvista e terrorizzati dall’idea di essere contagiati misero in quarantena l’intero abitato, abbatterono chiunque, infetto o meno cercasse di uscirne condannando i suoi occupanti al loro destino.
    Trascorso un mese, quando ormai tutti erano morti e i nuovi parassiti impossibilitati a nutrirsi divennero inerti, il villaggio venne dato alle fiamme per debellare definitivamente la minaccia.
    All’interno dell’abitato però qualcuno era sopravissuto. Forse per un’anomalia del parassita che lo aveva infettato o forse a causa di una sua diversità Herr non era stato consumato.
    Il suo braccio sinistro era ormai ricoperto dalla creatura, che dopo essersi estesa in tutto il suo corpo tramite i sistemi circolatori e neurali, legandosi ad ogni muscolo, nervo ed organo si era stabilizzata.
    Herr si sentiva bene e non provava dolore né spossatezza, non aveva difficoltà a muovere le dita o il polso nonostante il parassita si fosse indurito e cristallizzato divenendo più duro dell’acciaio. Le articolazioni rispondevano alla perfezione, come prima del contagio. L’unica differenza che avvertiva era una sensazione, la consapevolezza che l’essere che portava con sé si stava nutrendo del suo sangue. Non per ucciderlo, senza avidità… solo per sopravvivere.
    Per qualche ragione erano giunti ad un accordo, una tregua in cui entrambi permettevano all’altro di vivere. Se fisicamente le conseguenze non sembravano terribili altro discorso era lo stato psicologico del bambino. Colpevole d’essere sopravissuto, unico testimone della scomparsa di tutti i suoi affetti egli vagò tra i cadaveri come morto fra i morti, dimentico per giorni dei bisogni primari.
    Vagò e vagò, senza meta e senza requie fino a che non vide le fiamme, e allora ricordò. Ricordò gli uomini che li avevano condannati, che li avevano guardati morire senza muovere un dito e che ora stavano riducendo in cenere la loro vergogna e l’unico posto che avesse conosciuto come casa.
    Di colpo l’apatia lasciò il posto alla rabbia; una rabbia cieca, sconfinata, verso il destino, verso gli dei e verso gli uomini.
    Herr urlò al cielo la sua sfida e come in risposta al suo bisogno sentì il cuore accelerare i battiti, i polmoni riempirsi di nuova aria e tutto il suo corpo caricarsi di una nuova forza sconosciuta fin’ora.
    Senza pensarci si mise a correre in cerca dell’obbiettivo del suo odio.
    Ancora era cosciente, ad un livello diverso dalla razionalità, che la forza che sentiva proveniva dal parassita. Manipolando il suo corpo, adattandolo alle esigenze che lo spingevano, gli stava donando le capacità di cui sentiva il bisogno. In cambio però chiedeva sangue.
    Fu così che mentre il suo villaggio natale bruciava Herr uccise, uccise passando di villaggio in villaggio, uccise spazzando le sue terre come un vento di morte e più sangue versava più si sentiva potente.
    Lunghi anni erano passati da allora, troppi per una sola vita umana.
    All’inizio sopraffatto dal ribrezzo per se stesso cercò di liberarsi dalla sua maledizione, ma il parassita era troppo duro per essere leso, troppo radicato nel suo corpo per essere strappato. Anche il tentativo estremo di tagliarsi il braccio era fallito. L’influenza della creatura faceva rimarginare le sue ferite ad una velocità assurda e rendeva il suo corpo estremamente resistente.
    Col tempo Herr accettò la sua condizione. Mise alla prova le sue capacità scoprendone i limiti e apprendendo il modo in cui il simbionte, così come aveva iniziato a chiamarlo, interagiva col suo corpo.
    Quello che aveva scoperto era riassunto in un unico istinto primario: sopravvivere.
    Il simbionte non aveva coscienza né intelligenza, non pensava ne parlava ma semplicemente “stava” usando le energie che incamerava per sopravvivere o, in misura minima e per lo più non debilitante, assorbendone dall’ospite. Rispondeva tuttavia ai bisogni del portatore a cui era legato, manipolando la produzione di sostanze chimiche nel corpo o forzando i muscoli per ottemperare ai bisogni fisici “estremi”; questo di fatto rendeva Herr un essere formidabile, forte, veloce e resistente a limiti ben oltre l’umano. Interagiva con gli organi sensoriali e i sistemi nervosi ad essi associati aumentandone la sensibilità, poteva manipolare la chimica del corpo e il sistema immunitario rallentando l’invecchiamento e accelerando i tempi di guarigione Tuttavia questo richiedeva un prezzo. Il simbionte si alimentava di magia; non un incantesimo particolare ma qualunque tipo d’energia magica che scorre in concentrazioni diverse nel sangue di tutti gli esseri viventi, per questo erano attivati dal sangue ed è il sangue ciò di cui si nutrono.
    Il dolore al braccio interruppe le sue riflessioni. Herr alzò la manica scoprendo una piccola lucertola che, azzannata la carne, scuoteva e tirava come fosse intenzionata a strappargli il braccio.
    Premendo leggermente le dita agli angoli della bocca staccò la bestiola dal braccio e tenendola sul palmo della mano ne fissò gli occhi.
    “Pensavo di essere stato chiaro sul fatto di non voler essere disturbato”
    Stizzito, ascoltò la risposta del suo interlocutore.
    “Non commettete l’errore di ritenervi in grado di darmi ordini, io non servo NESSUNO, e terminerò la missione SE e QUANDO mi aggraderà. Se dovesse essere necessario ripeterlo ancora, lo farò di persona, e con la spada in pugno. Ed ora, se non vi dispiace, stavo per cenare.
    Ah, un’ultima cosa; devo ammettere che queste lucertole telepatiche sono comode, ma vedete di risolvere il problema dell’avviso di chiamata. La vibrazione è irritante!”
    Riposta la lucertola sotto il mantello Herr si alzò dal tavolo barcollando. Vistosamente ubriaco si avviò verso il bancone urtando chiunque si trovasse sulla sua strada e scusandosi con voce impastata. Arrivato alla sua meta estrasse la borsa coi soldi e la rovesciò sul bancone di fronte all’oste. Pagato che ebbe, raccolse le molte monete restanti ed uscì nel buio della notte.
    La peggior bettola che si potesse trovare, ricettacolo di ladri e tagliagole. Non c’era posto migliore per cercare un pasto veloce.
    Due uomini lo seguivano dalle ombre più fitte, forse qualcuno offesosi per le spinte o forse qualcuno interessato al suo oro. Poco importava, Appena si accorse di essere seguito imboccò ancora barcollando un vicolo scuro… ignoravano che al buio vedeva perfettamente e che percepiva ancora di più con gli altri sensi.
    . Un terzo individuo, resosi invisibile con un incantesimo, stava avanzando davanti a lui tagliandogli la via di fuga. Un mago non molto potente a giudicare dall’incantamento che lo avvolgeva, ma pur sempre un mago.
    “Ancora meglio”
    Il piano era semplice, i due balordi si sarebbero presto fatti vedere e sentire spingendo il povero viandante ubriaco verso la falsa salvezza dello sbocco del vicolo, dritto sul coltello del mago. Herr sogghignò nel cappuccio.
    Nell’istante successivo al palesarsi dei due balordi il primo era già morto senza neanche capire com’era successo. La figura barcollante che li precedeva di almeno otto metri, completamente vestita di nero, si era raddrizzata di colpo abbandonando ogni parvenza d’ubriacatura, e girandosi scattò nella sua direzione ad una velocità folle. Il pugno colpì come un maglio sfondando la cassa toracica, schiantando il cuore. Il secondo assalitore, preso alla sprovvista, tentò un affondo col coltello più per disperazione che per vero e proprio istinto omicida. Herr schivò di lato. Afferrò il braccio armato che gli veniva offerto tirandolo, e spingendo fece ruotare su se stesso il malintenzionato per poi spezzargli la schiena con una ginocchiata.
    Il mago, ancora avvolto nella sua sicura invisibilità, vide i suoi compagni cadere e prima che entrambi i corpi si fossero afflosciati a terra Herr gli era già addosso. Afferratolo alla gola con la sinistra lo sollevò da terra fissandolo negli occhi dilatati dallo stupore e dalla paura.
    “Giusto… io non dovrei vederti, ma che cacciatore sarei se non sapessi dove si trova la mia preda ?!”
    Le dita si strinsero penetrando nella carne, quasi istantaneamente il simbionte si espanse nel corpo del mago succhiandone il sangue, cibandosi della sua magia.
    Se con il suo ospite il simbionte era parco nel suggere tutt’altro discorso valeva per le loro “prede” pochi secondi e il corpo del mago venne prosciugato interamente, l’immagine che lo accompagnò nella morte fu il ghigno compiaciuto del guerriero nero carico di potere rubato, ebbro di piacere.
    Herr lasciò cadere il corpo ormai inutile della sua ultima vittima. Questo era quello che faceva, questa era la sua vita, un duello dopo l’altro, una morte dopo l’altra. Era un cacciatore, era un assassino.
    Il simbionte per ora era pago, le energie che aveva assorbito sarebbero bastate per settimane in condizioni normali, ma ora era ad Aurendor dove tutti gli eroi di tutte le nazioni si radunavano, dove i più potenti maghi e le più temibili creature risiedevano.
    Forse qui avrebbe trovato ciò che cercava. Sicuramente qui avrebbe trovato ottimi pasti. Sogghignando d’aspettativa risistemò meglio il cappuccio sulla testa e si avviò.
    Tenebra fra le tenebre.


    cerco la pace tra le bombe
    la vita tra le tombe
    la luce tra le ombre
    ma è la realtà che mi confonde
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    Prosdszt
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    VALLETTO
    00 25/07/2011 01:04
    bè, tecnicamente non è ancora un personaggio di aurendor, quindi non so se l'ho infilato nel posto giusto, spero però di poter inserirlo, col vostro benestare, tra i PG al più presto. se ho sbagliato sezione o precorso troppo i tempi sarei cancellate pure senza pietà!


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