Adunanza

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Benjen Stark
00venerdì 27 maggio 2011 01:11
E' un piccolissimo racconto che scrissi come prefazione per un libro che volevo scrivere, progetto poi arenato per mancanza di tempo.

Volevo condividerlo con voi, sperando di fare cosa gradita.


La pioggia è cessata.
Da diluvio flagellante a debole stillicidio. Anche il vento ha smorzato il suo impeto, lambendo con più clemenza i simulacri di quel desolante mosaico che ancora vi ostinate a chiamare villaggio, retaggio di un mondo che è andato avanti, memento della follia umana.
E così le tenebre sono calate sulla regione di Torquemada. Uno sconfinato ed arido deserto di cenere e macerie. Refoli di fumo vanno ormai sbiadendo, ultimo ricordo dei roghi mercenari. Tre giorni di freddo acciaio e fiamme ardenti, per celebrare i mastini della guerra. Un giorno di lacrime e desolazione, per ricordare i morti. Le ombre ghermiscono ed occultano i ruderi degli edifici smembrati e delle strade slabbrate, adornate di sadici menhir: uomini, donne e bambini mutilati ed impalati, tributo alla Guerra Eterna, elogio alla spietatezza dei Demiurghi della battaglia.
Dall’alba dei tempi i Custodi del Vadar sapevano sarebbe accaduto, che sarebbe stato inevitabile. Aspettavano solo che i tempi fossero maturi per rivelare il segreto mantenuto celato per millenni. Ma l’uomo è rimasto sordo al Conclave dei Venerabili, ignorando le loro esortazioni; tronfio del progresso tecnologico acquisito, ha preferito sfruttare la propria conoscenza chimico-nucleare in campo bellico, piuttosto che rassegnarsi dinnanzi ad un invasore inconcepibile per la maggior parte delle vostre menti.
Perché il tempo è giunto, e il tempo, indipendentemente dalle molteplici credenze religiose, ha un nome univoco: Adunanza. Gli anfratti ancestrali che custodivano le bestie infernali sono stati scardinati, vomitando sulla Terra i suoi abitanti primordiali. Un lungo, non-eterno letargo: ed ora hanno fame. Comandati dall’Arconte, i Principe del Sangue vi hanno invaso alla testa di sanguinarie legioni di demoni e non-morti. Inutili i mezzi convenzionali utilizzati dall’uomo per contrastare l’infernale avanzata degli abomini, efficaci solo ad anticipare la propria disfatta. E il risultato ottenuto è questo: Terre Desolate.
Ma in un mondo che sembrava dover soccombere o essere reso schiavo dai demoni, in una terra che si ostentava a riconoscere dopo il flagello nucleare, qualcuno seppe contrapporsi all’avanzata del nemico. Solo la Sacra Falange del Conclave è riuscita a battersi con tenacia contro le orde dei Principi del Sangue, scatenando una Guerra Divina dalla portata ancora più catastrofica delle armi nucleari. Una guerra cruenta e abominevole, la Guerra Eterna. Un conflitto in cui non c’è riconoscimento per l’onore ed il coraggio, solamente cordoglio e stragi di innocenti. I fiumi si dipingono del rosso purpureo del sangue, le città trasformate in spettrali catacombe, tutto il mondo stravolto ed ammorbato dalla minaccia abissale, più nera e profonda del Baratro di Abaddon.

Io sono l’Osservatore, a questo compito mi limito, non ho desiderio né poteri tali per alimentare la speranza che un giorno tutto questo sarà solo un brutto ricordo: illusioni. L’unica cosa certa è che dovrete morire, dipende solo come: vittime sacrificali, peste, fame, solitudine, disperazione.
Ma sono elucubrazioni in cui non mi diletto e soffermo troppo, francamente non mi interessa affatto della sorte dell’umanità, sono solamente un’entità astratta che trascende lo spazio ed il tempo: e osservo.

Dalla verdastra foschia miasmatica che ammorba il borgo dilaniato dalla Guerra Eterna e flagellato dalla peste, emerge un viandante. Indossa un saio color della cenere, l’ampia falda del cappuccio getta in penombra il suo volto; in mano regge un bastone di legno decorato con svariate campanelle che tintinnano ad ogni suo passo, peana alla morte. Dagli edifici slabbrati e diroccati occhi languidi e timorosi lo seguono lungo il suo tragitto, incapaci di comprendere quale motivazione possa spingere quel reietto a vagare di notte. Quale insulsa motivazione possa spingere quel pellegrino a non indietreggiare dinnanzi la minaccia palpabile dei Demoni, che da giorni assediano quel villaggio in cerca di carne umana.
Lo straniero sembra rimanere indifferente all’aria avvelenata ed alle schiere infernali che ora lo accerchiano, bramando il loro tributo di carne, fameliche. Bava nerastra che cola tra quelle fauci predatrici, una facile vittima per loro il pellegrino. Ma ignorano che quello che considerano il loro pasto, noi lo chiamiamo Argodadh: uomini che hanno abbracciato le tenebre per combattere le tenebre stesse, uomini tramutati in bestia per combattere le bestie stesse. E lui è l’ultimo degli Argodadh, veterano della Guerra Eterna, comandante della Sacra Falange del Conclave: Ramsay, l’Ecatombe.
Gli occhi glauchi, pallidi come la morte, passano in rassegna le bestie immonde che vogliono sovrastarlo, annientarlo. Ferma il proprio incedere, pianta a terra il bastone. L’atmosfera si carica di sacralità quando il canto gutturale che s’innalza dalla sua voce si espande tutt’attorno; parole antiche come la Terra, inno alla battaglia. I demoni retrocedono di qualche passo confabulando tra loro in quel linguaggio arcano, stridulo, probabilmente hanno capito. Ma è troppo tardi.
Un’aura intangibile, con fulcro l’Argodadh, s’espande con impeto furioso, dando avvio alla metamorfosi. Muscoli si contorcono, membra si dilatano, ossa si frantumano e ricompongono, conferendo al pellegrino la sua vera forma: un corpo interamente coperto di peli rossi e neri, zampe, artigli, corna, fauci affilate e ampie ali simili a quelle dei pipistrelli. Ultimo fra i dannati, bestia tra le bestie. Un urlo agghiacciante si leva dalle sue fauci ed il mattatoio ha inizio. Ecatombe.
Il tutto avviene nella frazione di pochi minuti, i demoni soccombono alla ferocia oscura che alimenta gli attacchi dell’Argodadh. Nessuna clemenza nelle Terre Desolate, nessuna esitazione nel campo da combattimento. Il nemico: carne da macello.
Esultano gli uomini dinnanzi a quello scempio di abomini. Accorrono, incuranti dei veleni tossici che il vento mordente porta nell’aria, ad acclamare a gran voce il loro campione. Ramsay si volta verso la folla di reietti, imponente creatura ammantata di blasfeme vestigia. E’ il loro Eroe. S’inginocchiano salmodiando preghiere strampalate, piangono ignari che quella battaglia è solo una parvenza di gioia in quel mondo che è andato avanti; ma l’uomo è fatto così, ha bisogno d’illudersi.
L’Argodadh avanza con portamento sacrale tra loro, venerato come fosse un Dio. Forse lo è. Gli occhi sono ancora febbrili, bramano qualcosa? Nessuno pare dargliene importanza. Lui è il Salvatore.
Un battito d’ali e l’Argodadh prende quota, ma non è solo: tra le braccia stringe un bambino, sorride il pargolo credendolo un gioco. Si alzano così gli sguardi dei presenti, alcuni sorridono, altri perseverano con le loro lodi mistiche, altri applaudono: un siparietto da teatro.
Ma tutti rimangono interdetti alle parole gutturali pronunciate dall’uomo maledetto, idioma incomprensibile; a loro ma non a me.
T R I BU T O.

silverey
00venerdì 27 maggio 2011 12:24
ma... secondo me, e questa è solo la mia opinione eh, il contenuto è molto interessante, ma dovresti alleggerire un po' il metodo di scrittura... :)
Benjen Stark
00venerdì 27 maggio 2011 13:28
Re:
silverey, 27/05/2011 12.24:

ma... secondo me, e questa è solo la mia opinione eh, il contenuto è molto interessante, ma dovresti alleggerire un po' il metodo di scrittura... :)



Ed è la critica principale che mi hanno rivolto, sulla quale ho sempre concordato.
Diciamo che voleva essere un omaggio ad Altieri e non ho mai voluto metterci mano. L'ho scritto di getto e così è restata, senza mai esser modificata.

Sicuramente, dovessi riprenderlo in mano, lo rivisiterei da cima a fondo come metodo di scrittura. :-)



silverey
00sabato 28 maggio 2011 04:00
Allora sono più che daccordo con te XD
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