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Le Muse e Daréios

Ultimo Aggiornamento: 20/01/2009 11:14
20/01/2009 11:14
 
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Abitante di AURENDOR
CAVALIERE
********* Daréios ********* **** Merlino di Avalon ***
un ultimo regalo
Per voi tutti, amiche e amici! [SM=g27988] [SM=x1263921] [SM=x1263921]

Le Nove Muse
Le figlie di Zeus e Mnemosine, dimenticate, davanti al Letè si riunirono.
Nel fiume della Dimenticanza dovevano tornare in vita le Muse, o morire.
Euterpe entrò per prima e cadde fredda l’Elegia Musa:
fu come senza vita in un bianco sepolcro.
Polimnia l'Imitazione, mise i piedi nell’acqua subito dopo.
Per l’ultima volta sparì dietro le quinte.
Come dalla Tarpèa si gettarono dal trampolino Talia(una poesia e commedia) ed Erato(canto corale e poesia amorosa),
sempre vicine in vita, così s'infransero nelle acque mortali.
Le nemiche Tersicore(Danza) e Melpomene (Tragedia) ebbero un colpo di fulmine per il Cinema.
E con quella musa s’immersero languidamente nel Letè.
Urania ascese all’Olimpo con il Galileo e si diresse con lui al talamo nuziale.
Le altère muse Callìope; Storia, e Clìo; Epica, i piedi soli immersero nel Fiume.
Poi, immemori ma sempre uguali, fuggirono.
Eroina morta per amore, Ofelia uscì da un teatro e il Teatro fu; l’Arte suprema.
Generata dalle poesie classiche più la tragedia, Monica
uscì da un negozio del centro e fu la Commedia.
Andrea è, fu e sarà la Lirica, ex poesia.
Ambigua come i sentimenti, sbocciò come un fiore in primavera.
Mirandolina, la Comicità, spuntò con un sorriso malizioso dalla porta di un B&B.
Rita era figlia di Urania e Galileo; Musa della Scienza.
La rossa Marlene fu il Cinema;
ballava, cantava e provava ogni sentimento, anche quello più oscuro.
Incappucciata e nascosta vagava per le strade di Alexandria d’Egitto Ishtar la bella.
Era la Sofìa, la Conoscenza nuova.
In un’edicola ebbe origine Gaia, la Pittura.
Figlia dell’uomo Moderno, Ispirazione d’ogni Arte Visiva, compreso il fumetto.
Mano nella mano Storia ed Epica fuggirono, mormorando Virginia, sottovoce.
Dario

Prefazione

Piazza Centrale di Gambarie, 15 agosto 2000.
Le solite turbe di turisti si muovevano a gruppi in attesa di tutto e di nulla nella grande piazza, quando una folgorazione passò per la strada principale e lasciò tutti in fermo immagine.
Il caldo sparì, il rumore si attenuò e Daréios, un ragazzo dall'aria un po’ triste ma decisa, s'incuriosì. In tutto questo c'era sicuramente la mano di qualche angelo o chissà, forse del Destino stesso.
Sappiamo solo che Daréios seguì questa folgorazione: due ragazze.
Seppe d'istinto che erano due gemelle. Le due ragazze si tenevano per mano ed erano quasi totalmente l'opposto ma era forse il colore ceruleo del cielo negli occhi d’entrambe, o solo il fatto che avessero gli stessi tratti del viso a convincerlo che fossero state generate dalla stessa madre? Daréios seppe solo che un istinto lo induceva prepotente a seguire: il sogno ad occhi aperti della bionda. Lei era avvolta strettamente in un vestitino azzurro molto corto. Muoveva ritmicamente il sedere da destra a sinistra, facendo risaltare il resto del lungo corpo flessuoso. Con indice e medio della mano sinistra tratteneva quasi senza accorgersene una lunga sigaretta francese e con pollice ed indice della destra teneva per due dita, in modo malizioso e sbarazzino, la sinistra della sorella. Le sue gambe erano perfette e, se messe vicine e guardate nella loro simmetria, aveva le tre famose conche della Dea Venere all’interno. I suoi occhi avevano poi lo strabismo della stessa Dea uscita dalle acque. Afrodite, infatti, sorse dalla Spuma del mare, come dice il suo nome, e sbarcò dalla sua conchiglia sulle coste di Cipro.
La mora, invece, era come uno di quei sogni notturni Sogni così intensi e profondi, selvaggi e dal fascino irresistibile, ma che ti sconvolgono. Aveva gli occhi azzurri come l’altra e strabismo di Venere a testimonianza della sua bellezza semidivina. Contrariamente ai capelli lunghi, biondi e avvolti in chignon della sorella, li portava corti e sbarazzini. Prosperante, è un aggettivo sostantivato perfetto per definire il suo corpo; carnagione bruna, abbronzata, contrasto quindi assoluto con l'altra anemica. Nella mano destra teneva un walkman in funzione e canticchiava qualcosa di triste. L’espressione del viso, il tono di voce: tutto lo diceva! A volte, faceva un tiro dalla sigaretta della bionda.
Noi sappiamo che fu la mora a farlo sussultare ma Daréios non lo sapeva ancora. Le aspettò al bar e, come un cavaliere d'altri tempi, offrì loro ospitalità a un tavolo e qualcosa da bere.
"Sole Cuore Amore", cantava la bionda; la mora si presentò: -Piacere, sono Esmeralda. Sai, è un nome dalle tante origini incerte. Si sa solo che vuol dire pietra verde e che l'ha anche la zingara di Notre Dame de Paris. Quel libro dove c'è Quasimodo "brutto, zoppo e guercio". Conosci?- E fece quella risatina fresca come quella sua vocina, poi continuò: -Lei invece è Evia, è la mia gemella. Lei è sacra al dio Bacco, ecco. Lei è la figlia di Dioniso.-
Aria intensa sul suo viso, non rise neanche Frà nostro, perché Evia gli mollò un calcione e disse: "E tu chi sei, orso?"
Inaspettatamente per lui stesso, al calcio della bionda Daréios rise di gusto, portò la mano al cuore facendo un mezzo inchino, e disse "Sono un poeta in cerca d'ispirazione perduta, Daréios per servirvi!"
Evia gli mollò un altro calcione, mentre Esmeralda gli strinse la mano e sussurrò come una magia:-Allora E+E saranno le tue Muse! -

Callìope Musa della Storia e Clìo, Musa d'Epica,
a lungo avevan vagato con Ishtar per i vicoli d’Alexandria d’Egitto.
Da Praga ai piedi del Bosforo; dal Vallo alla Turchia.
A lungo le due sorelle percorsero i domìni inglesi dal Gibral Tarìq all'India.
Dopo averle cercate a lungo, un poeta le trovò.
Sane e fresche, come rose alla rugiada del mattino.
Immemori e tristi, perché l’acqua del Letè le aveva sfiorate,
Le sedusse ed amò più di altri.
E più di altri fece, infine.
Le due sorelle s’immersero nel Letè, finalmente pronte.
E lui andò con loro e si perse.
La Speranza a quel punto fu bruciata in un lager sconosciuto.
Ultima ad uscire dal vaso, tornò polvere.
Errante come l'Ebreo, Mnemosine andò.
A lungo in cerca delle figlie, di sé, la loro ultima parola urlava.
Dimentica, la Memoria, un nome ripeteva e un nome fu; Virginia.
Così una seconda vita provò, con tale, folle, poesia,
che nella dissacrazione totale, nel novecento malvagio,
vana fu apparenza irresistibile, d’un’idea immortale.
Visse donna e fu uomo, l'Europa intera.
Certo; sola, disperata vagò,
ma non fu la fine.

Le Muse e Daréios.

Esmeralda

Esmeralda non lasciò più la sua mano, la loro relazione durò una settimana, ma fu intensissima.
Evia sparì lo stesso giorno con un tale Marco, presa da una torbida storia d'amore.
Esmeralda invece lo amò profondamente e viceversa. Il loro nido d’amore fu la casa di suo zio poco lontano dalla piazza. Le raccontò i famosi romanzi di Chrétien de Troyes: Lancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta.
La mora lo catturò: cuore, spirito e mente, fin dalla prima notte. Fu come un incantesimo sortilegio.
Parlavano per ore e senza pause di qualunque cosa. Si fermavano a volte per mangiare, poi dormivano e ballavano fino a scoppiare. Si amarono in tanti modi ma senza mai fare l’amore, fino alla fine della storia, ahimè per entrambi.

Daréios le baciava lentamente il collo tenendola tra le sue braccia nel salone e diceva: “La tua bellezza è simile alle stelle del cielo, fisse e statiche memorie del passato. Sei profonda, vitale e piena d’eros. Tu sei per me la Voce che fende il cielo e lo rende glorioso, sei la mia Musa….Sento il battito del tuo cuore e vibro al tuo sguardo che mi rivela la bellezza della Creazione nel tuo sguardo onorato dal dono di Afrodite.”
Esmeralda sorrideva e baciando la sua mano diceva:”Ti amo, in un modo che non può essere descritto. Ti sogno e ti trovo qui, ti vedo e sento le tue emozioni….forse siam stati vicini anche in altre vite come si dice o con Platone eravamo parte della stessa entità prima che Zeus ci separasse.” Poi prese un’albicocca e iniziò a imboccarlo, e lui la guardò malizioso, Daréios prese una ciliegia e la immerse nella panna. Prese a imboccarla girando il frutto nella sua bocca. Lentamente.
Le loro bocche s’incontrarono e iniziarono a esplorarsi i corpi con le mani, l’un l’altra.

Quella sera il poeta si era convinto che avrebbero fatto all’amore, ma quando sembrava che stesse per toccare l'IperUranio di Platone (il paradiso dove vivono le Idee di Bellezza, Verità e Bellezza) lei fuggì terrorizzata.
E sparì, lasciandolo solo.
Dopo la solita stancantebellissima notte, Esmeralda si diede alla macchia, come i banditi, e lo lasciò ferito e confuso dentro. Daréios forse sognò di gridarle: PAZZA! Per tre giorni vide solo scuro. Birre scure.
Il poeta scese in città e comprò due dozzine di casse di birre Irlandesi quando finì la scorta dopo tre giorni, ma non riuscì a berle tutte e si addormentò.
"Daréios!"

Evia

Il suo nome urlato ritmicamente, in modo angosciante e terrorizzato è un gran trauma per uno che si sveglia dopo una sbronza di tre giorni, ma era Evia a chiamarlo e Daréios non ci pensò molto.
Percorse la stanza senza calcolare il mal di testa, spiccò un salto dal giardino balcone e atterrò alle spalle del ragazzo che picchiava selvaggiamente Evia. Marco le gridava qualcosa, solo puzza d'alcool e rabbia nell'aria. “Puttana, tu stai solo con me, e basta. Non c’è nessun altro per te. E ora lo capirai”
Daréios aspettò che si girasse e disse:”Tu non hai nessun potere su di lei. Brutto bastardo!”E gli menò un gancio al mento. Marco lo guardò per un attimo confuso e gli restituì il pugno, Assorbito il colpo, Daréios finse di barcollare e intanto caricava il destro. Marco, sorridente disse: ”Tu sei un nullafacente e bastardo, sporco Terrone. Vai a fare compagnia alla scrofa che ti ha partorito!”
Quando quello si avvicinò per colpirlo di nuovo, sorridente, Daréios gli tirò un dritto così forte che lo fece scappare. Poi portò Evia all'ospedale. Mani strette come promessa, al ritorno dall’ospedale Evia e Daréios erano fidanzati. Lei lo tenne stretto a sé per un mese, come se fosse un orsetto di peluche. E così lo chiamava, "Orso!", poi lo picchiava.
Daréios la chiamava invece:"Orsetta bianca.” E alle botte di Evia commentava:” Orsetta, ma la smetti con questo sport?" Lei continuava a picchiarlo anche perché il suo vero sport, hobby o Vita era la danza.
Daréios ebbe modo di vederlo la mattina dopo esser tornati dall'ospedale, molto presto, quando la vide stressare e stirare le gambe in lunghi esercizi. La sua orsetta aveva certe gambe muscolose e lisce e splendenti che, tra l’ammirato e l’eccitato, gli venne in mente che la mattina dopo averla salvata (i due erano ancora all’ospedale) lui le aveva chiesto: “ Che Gambe! Balli?” Evia aveva risposto: “Studio danza da quando avevo otto anni. ” In modo malizioso aveva continuato”Almeno dieci anni fa. Quanti anni mi dai?”. Daréios aveva sorriso e detto:”Non m'importa granché, tu sei come una Dea per me. La tua bellezza è purezza interiore, sei come uno specchio o una cascata cristallina: Brilli!”
Tornato al presente, mentre durante l'allenamento non aveva voluto distrarla, quando uscì dalla doccia, non ce la fece più. Si alzò e sorprese le guance dell’eterea bionda, umide e fresche, subito rosse, con un bacio. Lei sbottò con fare malizioso: "Brutto Orso cattivo, ma tu non stavi dormendo, eh?" Lui allora, ignorando i suoi finti pugni di ribellione, cominciò a baciarle le dita dei piedi e poi iniziò a salire.

Sala dei Banchetti dell’Olimpo dove il tempo non esiste ed è un eterno presente, Zeus è nervoso e stringe il pugno seduto sul suo seggio, con il solo pensiero convoca Hermes e dice:
“Figlio mio, sono preoccupato. Che cosa devo fare con Calliope? Fugge dalla mia protezione, si unisce spiritualmente a tanti uomini come con questo Daréios e non si concede mai…di questo sono contento per carità!” E un sorriso taglia il suo viso mentre, contento, si tocca la barba e guarda il figlio che è appena apparso. Poi torna serio e dice: ”Per non parlare di Clio! Ha perso la verginità fisica già da tempo, continua a sfidarmi E si sta concedendo a quel poeta in questo istante. Cos’avrà di speciale, di chi è figlio?” Come turbato dalla sua stessa idea, cambia argomento e dice: ”Chi sia egli non importa! Devo forse trasformarle in qualcosa per farle rinsavire?”
L’algido Hermes lo ascolta ed un’idea riempie la sua mente, quando il padre finisce, si gratta con il caduceo sul petto e dice:”Mio sovrano e padre sono ragazze giovani, sono confuse.” E contemporaneamente, pensa al viso della bionda mentre si univa a lei nelle stalle qualche tempo prima. Continua: ”Parlerò con Calliope e le farò presente i suoi doveri. Si occuperà lei di Clio.”

Detto questo, volò via e apparse a Esmeralda, che ora sappiamo si chiami Calliope, nel boschetto di una casa disabitata di Gambarie e si avvicinò a lei, dicendo:
Hermes: “Calliope mia cara, sono tuo Fratello Hermes. E’ tempo di tornare a casa.”
Esmeralda, si voltò. Era seduta ancora in lacrime ma sorridente sul manto erboso. Per un attimo rimase sorpresa, poi disse: “Ma, Hermes…sono innamorata, forse è la volta buona….”
Hermes la guardò e accarezzandole il viso, sorridente, disse: ”Tu sai quello che è realmente accaduto. Sei una figlia di Zeus, non puoi innamorarti e poi, come mandato tua madre Mnemosine ti ha dato l’irrequietezza dell’arte…la tua è curiosità e questa finirà. Com’è già accaduto.”
Esmeralda alzandosi risoluta, disse: ”Ho il Destino dalla mia, stavolta: ho parlato con Moira e lei è con me. L’ho sognato il mio Daréios!”
Hermes per un attimo rimase stupito ma, cosciente della situazione grave, presto aggiunse: “Beh, a prescindere dal tuo Destino, c’è anche nostro padre ed è malintenzionato. Ti conviene seguire il mio consiglio, o….beh….nostro padre riesce a far deviare pure le decisioni di Moira….egli ne è successore e padre nelle Parche che tiene rinchiuse….”
Esmeralda guardando il fratello passò da un’espressione furente ad una rassegnata e disse: ”Così sia, ma questa è la volta che lasciamo l’Olimpo perché ovviamente Clio verrà con me. Vai a fare rapporto e dì a Giove Padre, come lo chiamano qui, che abbandoneremo Daréios ma anche l’Olimpo. Non gli mando nessuna benedizione, perché il pensiero sarebbe negativo e non voglio neanche pensare al momento!”
E andò verso la città, mentre Hermes si sollevava e spariva nel cielo, diretto ancora dal padre.

Era iniziato “Tutto” nel frastuono di quella piazza e “Tutto” iniziò d’improvviso a spegnersi, precipitando nel vuoto con una vorticosa caduta a testa in giù, quando Evia enunciò il suo più lungo discorso.
Si trovavano sulla balconata fuori al sole seduti a terra; lei tra le sue braccia, quando Evia disse:
"Io ti amo, lo sai vero?" Serissima in viso, braccia sulle gambe a massaggiarsele, si girò a guardarlo in faccia e continuò: "Spesso cerco in me qualcosa che voi mi date, ma non lo trovo." Daréios voleva chiedere di chi parlasse, ma lei lo zittì mettendogli indice e medie delle sue lunghe dita sulle labbra e continuò con le sue sottili e carnose labbra: "Sappi che se io non parlo ma sorrido soltanto o ti picchio, io ti amo come non ho mai amato nessuno." Poi rispose al suo bacio scostandosi con un sorriso, splendido dono divino che lo riempiva di felicità. Il sole in Esmeralda era negli occhi e dentro di lei; in Evia era nel viso quando rideva e nella sua sola presenza. Non poté evitare di confrontarle: erano gemelle! Evia però andò avanti e il suo viso si era improvvisamente oscurato, come se ci fosse una terribile eclissi di sole, di certo per un’illuminazione improvvisa: "Dov'è Esmeralda? E' fuggita. No, l'hai fatta scappare, vero?" Calcò sull'ultima parola.
Daréios non seppe far altro che dire: "Se n'è andata da sola!", abbassò poi la testa, ancora furente.
Evia disse a bruciapelo:"Tu la ami, vero?"

Silenzio chiarificatore per lui, ma non per lei che forse sapeva o immaginava, ma non ci credeva. Daréios realizzò d'adorare Evia ma d'amare Esmeralda. Questo per un attimo lo stordì, lo isolò in se stesso. Evia vide che era inutile dargli pugni sul petto e fuggì per chiudersi nella stanza da letto. Cominciò a singhiozzare, poi prese a piangere.
Dopo un attimo, tutto in modo molto lento, Daréios sentì i pugni della bionda sul petto. Gli aveva fatto male stavolta! Bussò alla porta della stanza e lei, tra le lacrime, urlò: "Vattene, ti odio!"
Lui sentì come un pugno acutissimo e poi un sonoro "crack" al petto, ma quando si accorse di non avere coperte per la notte rimase quasi stecchito (location: montagna più alta della Calabria del sud, Gambarie appunto, ormai vicini all'autunno) Fece spallucce, nero di rabbia e andò a fumare fuori.
Dopo un pò di tempo e due, tre sigarette si accorse che stava piangendo e s'incavolò ancora di più. Pensò ad un'altra ragazza che aveva un nome che iniziava per E, per la quale era salito quassù. Era salito per dimenticare dopo un anno magico, finito malissimo com'al solito. Poi apparve Esmeralda, lo raggiunse, lo girò e lo guardò sorridente e serena. Gli prese la sigaretta e lentamente tirò con le labbra sottili e carnose come la sorella. Daréios non fiatò, furente per un attimo, ma presto si calmò: il poeta si aspettava il suo arrivo. Chissà perché? Per un attimo rise tra sé, poi studiò il viso bagnato di lei: i capelli ricci, sciolti d’acqua sulle guance dagli zigomi alti. E la desiderò, a modo suo e malgrado i suoi sentimenti contrastanti. Lei gettò la sigaretta e la spense. Poi lo baciò sulle labbra, quasi lui non si era accorto della pioggia. Esmeralda tentò di buttarlo sul tavolo di pietra, ma lui combatté, incavolato, confuso. Esmeralda sussurrò:-Grazie per aver salvato Evia. Forse l’hai fatto anche con me perché non ho più paura d’amarti fino in fondo, non ho più paura di perdermi- Lui cercò di scacciarla, di spingerla via dal tavolo di pietra sotto il pino, ma il tono delle sue parole e il suo viso quando le diceva lo costrinsero a pensare e Daréios si distrasse. Esmeralda approfittò del momento e, in modo animalesco come un desiderio rimandato a lungo e che improvviso ci travolge, lo buttò sul tavolo e lo spogliò della camicia. I due si baciarono con passione e senza limiti alla fantasia, poi, quando lei avrebbe voluto andare avanti, lui la fermò. Lo sguardo di lei fu furente per un bel po’. Alla fine, lei sorrise, gli diede un altro bacio e si accoccolò tra le sue braccia . Daréios poi, ricordandosi d’avere delle coperte nascoste, si avvolse con lei in esse e caddero in un sonno ristoratore.

Epilogo.

Al mattino Daréios si svegliò solo e dolorante. Forse per il luogo freddo e umido, forse per il bel fare notturno con Esmeralda. Sapeva solo di stare infinitamente bene. Poi entrò in casa, vide che mancavano le chiavi, al loro posto un messaggio.

Siamo in piazza. Alle undici c’è il pullman per Milano. Se non ti svegli, troverai la tua grigia in piazza, le chiavi da Emanuele al bar
Evia ed Esmeralda

Daréios notò che aveva scritto Esmeralda e lei era sempre seria. Confuso e stupito ma più che un cattivo presentimento aveva certezze e non gli piacevano. Si vestì in fretta e furia ed in un quarto d’ora le raggiunse. Erano le undici meno venti e il pullman era già lì. Le due sorelle lo aspettavano vicino al bar.
Esmeralda lo accolse tranquilla, quasi sussurrando, sicuramente triste: -So Tutto, sappiamo Tutto. Ti ho sognato spesso, sai? Ti ho amato col rischio di perdermi ma non m’è successo quando l’abbiamo fatto, no? Grazie ancora per aver salvato Evia, ma non hai saputo scegliere e hai fatto un gran casino.- Gli chiede di lasciarla parlare e continuò: - Io ti avrei saputo amare, ma tu non hai saputo scegliere e poi, diciamola tutta...certe cose così belle non possono durate troppo. Sono così fragili che basta un soffio per romperle, ma non riesco ancora ad odiarti...” La sua voce era però amara quando abbassò la testa per non fare vedere le lacrime, Evia la strinse tra le sue braccia. Stavolta però lui sbottò, mani strette a pugno vicino ai fianchi, furente e stanco d’essere stato quasi usato da questi due angeli, forse dal Destino. “Quel cieco stronzo allora avrebbe sbagliato? Forse E+E mi avrebbero mentito?” Sembrò, e lo vide dentro i loro occhi come se guardasse in se stesso, che le ragazze avevano accusato il colpo. La mora mentendo sussurrò:”Beh, anche le muse sono inferiori al Destino.”
Deluso, abbassò la testa e liberò piano le dita delle mani dai pugni, rilasciando i palmi aperti vicino alle gambe, quasi sconfitto. A testa bassa continuò:“Vattene via con tua sorella e lasciami solo.” Irrigidito, poi, ignorò Esmeralda e non permise ad Evia di baciarlo. S’allontanò nervoso, sbattendo i piedi. Anche se Evia al suo gesto scoppiava d’improvviso a piangere. Osservò le sorelle raggiungere il pullman e salire su, Esmeralda stavolta furente, Evia in lacrime.
Daréios le raggiunse all’interno, di corsa. Prese la mano destra della mora con entrambe le sue mani, la rabbia già svanita, e disse: “Non dirlo, non dire che non è stato vero.” Esmeralda lo baciò sulla fronte e poi su entrambe le guance, qua e là sul suo viso lacrime sparse, lo portò fuori tenendolo per mano. Poi lo abbracciò, prima di entrare nella porta del pullman.
Presto fu dentro, accolse la sorella piangente sul petto e il pullman sparì dietro l’angolo lontano.

Il fermo immagine svanì e tornò il caldo, la folla. In tasca Daréios si ritrovò un pagliaccetto ed un messaggio, su papiro o pergamena? Sinceramente lo ignorava. Passò al messaggio e, mentre lo leggeva, senti la voce di Evia che l’aveva scritto:

“Le Muse ti salutano Poeta! Siamo stati amanti anche in altre vite? Boh!…Sappiamo solo, molto prosaicamente, che dobbiamo tornare perché nostro padre è malato. Ti ameremo per un po’, probabilmente poi finirà. Ricorda solo che l’amore gira; non importa chi o quando, ma come ami le persone che incontri. E tu ci hai amato intensamente entrambe, come solo un dio può.
Forse sei il nostro Apollo? In un’altra vita c’incontreremo, magari. Esmeralda + Evia, le Muse.”

Darìo
[Modificato da $Darius$ 20/01/2009 11:41]
Daréios Merlino.
Arcidruido di Avalon.
Archipresbyter insula Avallonis.
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